LA METAMORFOSI DEL GORILLA

Gorilla scorpione

Occhi profondi, pelo morbido e lucente. E’ appena nato: uno strano lupo.

Robusto e forte, cammina tra i lupi, neonati come lui. Rispettosi, attratti, ma intimamente intimoriti, avvertiti dalla verità della natura; nell’aria sussurrata.

Ecco, un lupo anziano, ringhiare inferocito.

La violenza della storia, caricata dalla sua diffidenza, colpisce e segna.
Stranolupo si ferisce, ma non cade. E’ piccolo, ma reagisce.
Vacilla il lupo anziano, nella mente.

Stranolupo cresce, cammina e cresce.
Gli spunta una strana criniera rossastra tutto attorno al capo e al collo, che lo copre fino alla spalle .

Stranolupo dalla criniera rossastra, cammina e cresce.
Ancora una volta, uno dei lupi , gli si scaglia contro e lo segna con una zampata.
Stranolupo si ferisce, reagisce e questa volta atterra l’aggressore.

Stranolupo dalla criniera rossastra cresce, cammina e cresce.
Le ferite passano, si rimarginano.
Trascorre le giornate a cacciare solitario.

Un giorno, alcuni lupi del branco si portano in gruppo attorno a lui e lo accerchiano.
Lui emette uno strano suono, che fa tremare e fuggire impauriti gli aggressori.

A quel punto il branco è ormai deciso:
spaventato dalla forza di Stranolupo, si organizza contro di lui.

Il giorno stabilito, nuovamente, tutto il branco circonda Stranolupo, e tra questi, uno dei gregari lo attacca.
Stranolupo più forte di un singolo lupo lo atterra. Un altro, e un altro ancora gli si scaglia addosso. Stranolupo li atterra uno dopo l’altro.

Si scaglia contro il muro di animali di fronte a lui e ne fa fuori a decine, ma sono troppi. Lotta strenuamente, ma infine viene vinto.

E’ ancora troppo giovane ed è solo.

I lupi gli risparmiano la vita, ma lo costringono a restare con loro e a partecipare alle attività del branco, a cacciare con loro e per loro.
Stranolupo si ribella per giorni interi..poi, li accetta.
Cresce tra i lupi e ne impara le regole, i comportamenti, i ritmi e con loro si identifica.

Si adatta e si inserisce nel branco. I lupi non disdegnano la sua presenza, tuttavia per loro è importante spegnergli gli istinti, così pericolosi per loro.

Stranolupo finisce per dimenticare la sua natura e col passare del tempo non trova più differenze con i lupi.

Passano anni e Stranolupo vive tranquillo, cacciando e vivendo col branco. Cresce e diventa grande.

E’ un lupo ormai, questo è il suo pensiero, il suo adattamento, ma c’è qualcosa ancora che lo lega al suo passato. Un disagio, una tristezza profonda.

Fosse stato un uomo sarebbe stata malinconia da poeta..

Il tempo passa e Stranolupo iniziò a stare sempre più male: risentiva i cambiamenti che il forzato adattamento aveva imposto alla sua natura. Soffriva.

In lui istinti primordiali riaffioravano e lo confondevano, portandolo lontano dal vivere di branco. Finchè un giorno stranolupò sparì, si nascose per giorni così che nessuno fu più capace di trovarlo. Poi, abbandonò tutti e iniziò a vivere solitario, errando nella foresta.

Un giorno, nella foresta.

“Ei tu, leone”.
Stranolupo non si girò, e un’aquila continuando a chiamarlo si avvicinò a lui, fino a che non gli fu di fronte. Appena davanti agli occhi gli disse: “che ci fai qui leone?”

Stranolupo non capiva cosa stesse dicendo quell’animale e rispose “vola da qualche altra parte corvaccio”
L’aquila sorpresa, volò via.

Stranolupo, infastidito dall’improvvisa invadenza, riprese a camminare riflettendo triste a quelle parole.
Leone?
Cosa significava? e perché gli aveva chiesto cosa ci facesse lì?

Pensava a queste cose quando..
…sentì un leggero fastidio sulla gamba.
Si girò e di scattò si tirò in dietro.

Davanti a lui c’era infatti una strana creatura simile ad un gorilla, ma più piccolo e con una strana coda lunga, senza peli e rossastra, che tutt’altro era men che morbida (Stranolupo l’aveva appena appurato), e finiva con uno strano pungiglione.

La strana creatura gridò: “Eì, guarda dove vai!” agitando la coda.

La coda era solcata da delle linee verticali che si susseguivano creando sezioni bombate e ovali. Stranolupo ricordava qualcosa, ma era confuso, incuriosito da quella forma nuova e sconosciuta.

“Cosa sei?” disse d’istinto.
L’animaletto guardandolo con un espressione buffa, pensoso rispose “cosa sono?..e chi lo sa. Un gorilla.”
“Una specie di gorilla?”
“Sì, credo. E tu? sei un lupo?”
“Sì credo”
“Una specie di lupo?”
“Sì”
“Strana quella criniera sulla testa, mai vista addosso a un lupo”.
“Già..sono uno Stranolupo”

Risero insieme.

Poi il piccolo gorilla dal pungiglione raccontò a Stranolupo la sua storia:
“Mi ricordo di essere nato orfano, e che una femmina di gorilla che aveva perso il suo piccolo, mi allevò come suo figlio”.
“Hai sempre avuto quella?” disse Stranolupo indicando la coda dell’animaletto.
“Sì, sempre. Ero l’unico ad averla nella mia famiglia. Ero il più piccolo dei miei fratelli e l’unico che l’aveva. Coi miei fratelli facevo fatica a starci. A loro non piacevo ed ero il più fragile, ma mi ricordo che mamma mi voleva un gran bene”.

Stranolupo seguiva il racconto interessato e molto partecipe. L’animaletto continuava:
“Io e mamma eravamo molto legati, entrambi eravamo davvero felici di stare insieme, ma presto dovemmo affrontare un problema: io ero troppo delicato rispetto al suo corpo possente e quando lei affettuosamente mi abbracciava, non riusciva a non farmi male e io d’istinto, sempre, rispondevo agitando questo mio pungiglione”.
“Strano pungiglione” rimarcò Stranolupo.
“..e la pungevo” disse lo strano piccolo gorilla dal pungiglione. “Lei mi amava e quell’abbraccio era per lei importante, unico mezzo di trasmissione del suo affetto. D’altra parte io non potevo fare a meno di fare scattare il pungiglione ogni volta che mi abbracciava.
Poiché quando ero piccolo, la puntura del mio pungiglione non poteva fare male al suo grosso corpo, entrambi accettammo di farci un po’ male per amore dell’altro. Ma crescendo il problema si ripresentò. Il mio pungiglione iniziò ad emettere un liquido strano e la mia puntura faceva sempre più male, fino a che un giorno, dopo il consueto abbraccio e la consueta puntura, mia mamma cadde per terra moribonda.
I miei fratelli si scagliarono contro di me, così il resto della famiglia. Io riuscii a scappare e da allora continuo a vagare solitario senza sapere nulla di mia madre. La ricordo esanime a terra.
Per lungo tempo fui gettato nello sconforto e nella piena disperazione. Pensavo al mio pungiglione, l’ho odiato! Pensavo a come fosse stata causa di tanto male. Quante notti mi sono addormentato pensando a come sarebbe stato bello se io fossi stato normale, come i miei fratelli, robusto e senza pungiglione. Proprio come loro. Quante notti ho desiderato di non avere avuto quest’anomalia..Ma poi, passarono gli anni e in me si susseguirono cambiamenti strani, uno dopo l’altro. Diventai sempre più piccolo, i miei muscoli delle braccia giorno dopo giorno stanno perdendo peli e diventano sempre più duri. Sta assumendo questo colore rossastro e mi è cresciuto dentro un vuoto, che mi tormenta, ma mi sorregge”.

“Anch’io avrei voluto vivere bene con i lupi che mi hanno allevato. Essere come loro. Poter accettare la caccia di branco”. Disse stranolupo.
“E’ per questo che il tuo fisico ricorda quello di un lupo? Sei stato allevato da un branco di lupi? ma non sei un lupo”.
Stranolupo gli rispose triste: “non so cosa sono..so solo che sono strano.”
“Non è un male esserlo. Guarda me, a me non dispiace essere così, in qualche modo riesco a fare tutto.”
“..ma io penso che comunque non sia normale avere quelle grosse braccia sproporzionate con questo corpo piccolo..”
“normale…” ripetè pensoso l’animaletto, “guarda”, disse ponendogli davanti agli occhi il braccio destro “sono convinto si stiano rimpicciolendo anche le braccia,..e stanno cambiando,..guarda attentamente”
Stranolupo notò una parte del braccio all’altezza del gomito, senza peli, di un colore bordastro lucente. Di quella che un tempo doveva essere una grossa mano restavano tre dita unite e confuse alla base in un unico corpo e al posto delle altre due c’era qualcosa come una pinza.
Era proprio strano. Quella creatura gli ricordava qualcosa…
Poi la creatura disse pensosa a Stranolupo
“…il mio pungiglione…non ti dice nulla?” iniziava a capire.
Stranolupo aspettò qualche attimo..i due sembravano seguire velocemente le stesse deduzioni, poi con stupore dissero assieme:
“uno scorpione!”
“…..io sono uno scorpione! Sto diventando uno scorpione!”
Entrambi ne conoscevano l’esistenza e la forma. Il piccolo Gorilla-Col-Pungiglione stava davvero trasformandosi in uno scorpione.
Lo Scorpione perciò, infine disse:
“Allora non sono strano, sta per compiersi finalmente la mia metamorfosi. Non sono mai stato come mia madre o i miei fratelli, l’ho sempre saputo”. Era emozionato il Neo-consapevole-Scorpione, con semplicità e spontaneità aggiunse: “Allora anche tu! tu sei..quello che sei, e lo sei per natura. E prima o poi lo scoprirai. Devi solo lasciarti…vivere, poi farà tutto natura. Vivi, aspettando il cambiamento come il mio!”.

E se Stran- Gorilla-Neo-Consapevole-Scorpione se ne andò contento lasciando Strano-Lupo pensieroso.

Stranolupo abbandonò lo scorpione, forte di una nuova verità. Non sapeva cosa egli fosse, ma aveva la certezza che non doveva avere più paura di esserlo.

Così, quel giorno, Stranolupo imparò dallo Stranoscorpione l’arte dell’adattamento, capì che non esisteva un animale migliore di un altro, ma ognuno era dotato nel più profondo di una straordinaria verità. Ognuno aveva dentro se, in qualche punto, dentro se, la capacità di vivere il grande cerchio della vita.

Capì che ogni animale se esisteva era perché aveva diritto di viverci in quel magico e splendido cerchio.

Stranolupo camminava in una rinata sicurezza, pensando che non importava sapere chi fosse,

ma esserlo.

LA RETE DEI PIGLIANCULO

la rete dei piglianculo

“Per saper cos’è l’amore devi aver cantato e pianto Nelle lacrime e nel canto c’è la storia di ogni cuore…”. Ascoltando Carlo Buti… ho una idea, una percezione: c’erano tempi in cui l’individualità produceva cultura… quei tempi mi insegnano che il genio non è di uno solo ma può essere coltivato da tutti. Esistono istanti in cui Dio si manifesta e ci rende grandi e forti , inamovibili dalle leve del potere. Ci sono istanti in cui capisci che un conto è lo spirito, un altro è la razionalità. Un conto è l’individualità un altro è il riconoscimento sociale. un conto è la forza un altro è il potere. Un conto è il talento, un altro è la carriera. Un conto è il genio, un altro è la fama. Un conto è l’Uomo, un altro è il piglianculo. La rete dei piglianculo Quando lo prendi in culo, io so solo che è una brutta sensazione. Che non voglio provare. Ma colui che me lo mette nel culo oggi dice di averla presa nel culo a sua volta quando aveva la mia età. E chi la mette nel culo a me oggi, è chi l’ha presa nel culo alla mia età da chi probabilmente alla mia età l’ha presa nel culo. … Perché, si dice, che se la prendi nel culo alla mia età la potrai mettere nel culo quando avrai l’età di chi te la mette nel culo ora. Si forma la rete e così le cose vanno avanti. C’è una massima popolare che mi ha insegnato mio Zio: “se sei martello batti, se sei incudine statti”. Funziona perciò così. Solo che succede tutto in modo più dinamico e protratto nel tempo, nella storia. E’ uno spirito della società che scivola di generazione in generazione. C’è un periodo in cui sei incudine, se ti fai battere con pazienza poi nel tempo potrai avere la possibilità di diventare martello e allora sarai tu a battere. Ma di diventare martello nel tempo, per carriera, per anzianità, nessuno te lo assicura. Potrebbe restarti il dolore di essere stato battuto senza però mai raggiungere il tempo in cui sarai tu a battere. Qui un’altra massima popolare mi aiuta ad esprimere il concetto: “Col culo rotto e senza cerasa”. Ma allora, qui la mia conclusione: perch’è dovrei battere gli altri? E soprattutto, perché dovrei rischiare la beffa per me inaccettabile, dell’avere il culo rotto e senza cerasa? Dico subito che se anche tu, caro lettore, ti stai facendo questa domanda sarai tra quelli che non sarà mai un leader di questa rete. Questo sistema dell’incudine e del martello è il paradigma sociale su cui si costruisce tutta la rete dei piglianculo. E chi è nella rete, leader della rete dei piglianculo, fa scouting naturale; per colpo di fulmine inconscio, quasi magico. Quando incontra il suo simile se ne accorge, lo bastona, quasi con affetto , esercita il suo potere contro logica e giustizia e ne prova la fedeltà assoluta. Fedeltà alla posizione di superiorità, mai alla logica o alla dignità. Non è scritto, non è detto, ma è quasi immediato capire chi è adatto ad entrare nella rete, per chi c’è dentro. Chi ha la stoffa del piglianculo, lo capiscono inequivocabilmente. Procedono a metterla in culo in serie, con una doppia funzione, addomesticare ed eleggere. Addomesticare chi non è per natura portato a comprendere la logica che chi è superiore fa e indirizza a suo piacimento, ed eleggere, come dicevo, chi invece per natura è portato a prenderla in culo senza fare tante tragedie. Si fa scouting dei prossimi leader di questa speciale rete. E dipende tutto dalla prima sfiorata. Primo sfoggio di potere, prima reazione. C’è chi accetta ed è in prima linea, il piglianculo leader , chi accetta e va in fila, il piglianculo di massa, e chi sbrocca, da di matto e si scaglia contro il potente, l’Uomo. Ecco quest’ultimo è uno come me, che si troverà sempre a scrivere pressappoco pensieri di questo tipo, Il primo invece farà carriera e rispetterà sempre e soltanto il potere. Riderà probabilmente di scritti di questo tipo. Ed anche tu, che credi di capirmi, probabilmente o prima o poi ti renderai conto di essere un piglianculo. Una parte della rete. Solo se sei giovane capirai veramente questi scritti, se sei adolescente.. ..finché sarai tale, perché poi crescerai e sarai con molta probabilità un piglianculo di massa. Pochi saranno leader, e pochissimi, Uomini.         I piglianculo di massa, saranno da sempre combattuti tra il dolore e lo spirito. Tra il calcio in culo e l’ispirazione. Potrebbe darsi che ci sia un tempo dei piglianculo e uno degli Uomini. Non vorrei scomodare Cristo e Pilato, (se non ti risuona nulla, caro lettore, ti dico Socrate e Meleto), ma è da sempre così: l’Uomo esalta, ispira, il piglianculo, affossa, equilibra. Uno sobilla, l’altro calma. Gli Uomini cercano sempre di creare reti di Uomini, e i piglianculo le reti di piaglianculo. Chi vince da sempre lo decide il caro e puro piglianculo di massa. La democrazia o la folla. Questo è solo uno scritto, un anfratto della realtà, in cui l’Uomo che è in me si ferma a prendere le sue sembianze su un foglio bianco. Ma ora, torno fuori.. E nell’eterna lotta per non essere inghiottito nella rete dei piglianculo, là fuori cioè, ogni scatto di reni contro il sicuro, lo scontato, sarà la volta in più in cui potrò riconoscermi Uomo.

IL FOLLETTO CHE VOLLE ANDARE SULLA TERRA

Folletto

C’era una volta nell’Olimpo un piccolo folletto figlio di un Dio del bosco.
Questo esserino viveva tra gli dei e da tutti era voluto bene e apprezzato, sebbene lui, fosse a tutti gli effetti, un eccezione vistosa tra quegli esseri bellissimi dalle sembianze umane. Lui, infatti, era piccolino, e il suo corpo era ricoperto di peli. Era, se pur minuto, di corporatura robusta, con muscoli del petto e delle braccia scolpiti e spessi. I capelli erano rosso rame e si innalzavano arruffati e dritti in testa. Aveva un petto possente e spalle larghe. Occhi neri, scuri come la notte e un muso animale che ricordava quello di un gorilla. Aveva mani corpulente e forti, i piedi invece erano sostituiti da zoccoli taurini. Il suo sedere era completamente glabro e spiccava, ad effetto, nel mezzo di quella sua folta pelliccia. Su di esso, vi era una coda simile a quella di uno scorpione.
Il folletto era intelligente, abile nei giochi e nelle attività dell’Olimpo, ed imparava velocemente. Era pure molto curioso e un giorno, mentre col permesso del padre, sceso sulla terra, passeggiava nascosto tra i folti pini di un bosco, vide con suo grande stupore una bellissima donna dai capelli ricci e neri che si rinfrescava nelle acque di un piccolo lago. Il folletto ne fu colpito a tal punto che chiese al padre che cosa fosse quell’essere tanto simile alle dee dell’olimpo, eppure, ai suoi occhi così tanto di più attraente.
Il padre, sentendo le sue parole e vedendo la sua eccitazione, decise di spiegargli tutta la verità.

Il padre aveva avuto il folletto da una donna e dunque il piccolo essere era per metà divino e per metà umano. E pure lo stesso padre, aveva vissuto una lunga vita sulla terra, fra gli uomini.
Così, gli spiegò la sua storia, dicendogli che quella forte attrazione che aveva avuto vedendo una donna era normale, in quanto lui stesso era per metà uomo.
Il piccolo folletto espresse il suo desiderio di andare a vivere sulla terra, ma il padre gli spiegò che sulla terra le sue doti non sarebbero state accettate e che nessuno in quel luogo aveva le sue sembianze.
Il folletto però insisteva e incitava il padre a trovare una soluzione. Così che suo padre escogitò una possibile idea. C’erano nell’Olimpo dei corpi di vecchi eroi, belli e possenti come dei, ma pur sempre dalle sembianze umane e dotati di sentimenti. Il folletto avrebbe potuto indossare uno di quei corpi e così poter scendere sulla terra. Mai avrebbe dovuto lasciarsi sfilare di dosso il corpo da uomo perchè gli uomini mai avrebbero potuto capire e per lui sarebbe stato pericoloso.
Così, il piccolo folletto, scelse un corpo, lo indossò e scese sulla terra.

Giunto sulla terra scordò tutto:
con gli occhi del folletto non vedeva che il corpo dell’uomo e dunque, non poteva che pensare e sentire che come un uomo. Infatti, né il padre ricordava, né il folletto poteva sapere, che l’idea pura, quello che di fatto erano gli Dei, scesa in un corpo di uomo è lì intrappolata e assalita da una miriade di sensazioni ed emozioni che ne fanno dimenticare la natura divina al suo interno.

Così, il folletto, o meglio l’eroe, iniziò la sua nuova vita. Dimentico dei suoi più originari piani, ma pur sempre, a qualche livello, sensibile della sua essenza divina.

Dunque: un folletto, un eroe e l’uomo.

Il folletto era un dio e non conosceva né pietà né nulla che non appartenesse alla logica.
L’eroe invece non comprendeva che abnegazione e ideale.

E l’uomo? Lui aveva questo orientamento a guardarsi dentro con cui aveva conosciuto il folletto. E a volte subiva forti passioni che lo portavano a negare qualsiasi limite, e attraverso le passioni aveva scoperto l’eroe.
A poco a poco l’eroe e il folletto si ritrovarono ben distinti dentro di se, e l’uomo faceva sempre più fatica a vivere i suoi giorni terreni.

A volte quando uno stolto offendeva l’uomo, il folletto usciva fuori piccolo piccolo, col suo culetto spelacchiato brandiva un’ascetta in mano e con un piglio irato si slanciava contro lo stolto. Pronto ad ucciderlo. Accadde un giorno che ne uccise uno mettendo in gravissimi guai l’uomo.

Altre volte invece, quando l’uomo incontrava barriere era l’eroe che lo trascinava verso l’idea di terre inesplorate e da scoprire allontanandolo da qualsiasi possibilità di attesa.

“Dove vai?” Gridava alle volte l’uomo verso il folletto. “Dove vai?” gridava ripetutamente contro l’ottusa passione del folletto, che con le zampette corte faceva ridere quando correva, perchè sculettava

“Cosa devo fare dunque?” Gli chiedeva allora alle volte il folletto.
“Non uscire. Non uscire mai”. Rispondeva l’uomo, confuso.
“Ma se in te giace la mia grandezza che fare?” Pensava però poi.

“Non mi trascinare, non mi mettere in pericolo!” Diceva invece alle volte all’eroe.
“Ma tu mi rendi grande”. Pensava tra se e se.

Ai suoi occhi l’eroe e il folletto gli erano migliori. Il folletto era potente e libero. L’eroe era cieco e onnipotente. L’uomo non sentiva di avere nient’altro valore al di là di quelle due presenze dentro se.

A lui rimaneva il rossore delle gote e l’irrefrenabile desiderio.

Dal rossore era impietrito e del desiderio era schiavo.

Riusciva ad agire solo quando il folletto agiva e riusciva a muoversi solo quando l’eroe decideva di muoversi.

– Dunque l’uomo chi è? –

Legati tra loro 

gli uomini,

custodiscono 

la loro verità

nell’amore

l’uno,

dell’altro

MOBİLİTA’ (LO SLANCİO)

Facoltà di Economia, Milano.

Il vociare comune di parole uguali, come quelle facce livellate dalla stessa espressione di sobrietà, rallentavano le tue azioni.

Ti sei alzato e hai chiesto:

“Professore, mi scusi. Lei crede che per uno studente, oggi, finita l’università in un paese come l’Italia sarebbe meglio espatriare? Oppure rimanere e cercare di cambiare qualcosa da dentro il sistema?”

Qualche minuto per la traduzione e lo hai sentito dire:

“La mobilità in Italia è una delle più basse al mondo. Vi consiglio di andare via. Magari poi tornare per cercare di cambiare le cose. Ma se volete provare a fare carriera andate via”.

Mobilità.

Che voleva dire?
Per te?

Quel tuo compagno di classe delle elementari a cui la maestra fece fare il castello di cartapesta che poi era stato esposto alla festa di classe con i genitori. Avresti capito se ti avesse ricordato quanto fu deluso quella volta il tuo entusiasmo e quanto confuso il tuo senso del vero quando alla tua insistenza di voler farlo anche tu, ti risposero: “lui è più bravo”. La tua incomprensione allora, quel senso di disagio e lontana sottomissione ogni qual volta che lo rivedevi, quel tuo compagno di classe. O quando, a quell’alone di magico e di destino si affiancavano nuove informazioni come figlio del primario ‘tizio’ o nipote del sindaco ‘caio’.

Non pensavi a tutto questo ma tutto era chiaro ad un certo livello.

Un improvviso filo di pertinenza e chiarezza si tendeva e riportava a galla sentimenti di aspirazione, entusiasmi, bocciature e mortificazioni. Come dei sogni brevissimi e sfilacciati ti giungevano alla ragione pensieri sull’inferno e il peccato originale, sulla dignità e sull’umiliazione.

Se qualcuno in quel momento, accortosi del tuo ghigno trascendentale ti avesse chiesto “ma a cosa pensi? Hai capito cosa ti ha risposto?” ti avrebbe sicuramente sentito dire:

“Sì. E’ chiaro. I sorrisi. Sono i sorrisi della gente”.

E ovviamente non avrebbe capito. Perché per capire bisognava chiederti di quel tuo compagno delle elementari, ricordare il suo sorriso e la tua delusione.

Avrebbero dovuto capire che la civiltà non è fatta di leggi e norme, ma di sorrisi, di legami e di rapporti. E se a sorridere sono sempre quelli, ecco, che avrebbero capito assieme a te cosa significasse “mobilità”.

Ti tolgono le speranze.  A poco a poco ti abitui ad accettare i volti dei prescelti di successo.

A poco a poco inizi a credere ai prescelti di successo. Ti sforzi di vedere del fascino in persone vuote e senza carisma. Ti ritrovi a chiedere cosa tu abbia di speciale. Perché ci deve essere qualcosa di speciale che ti porti via dal piatto di questa bilancia bloccata. E lo sai.

Ora, la tua ansia aveva una motivazione, un nome. E tutto era chiaro ma non per questo facile.

Che fare?

Per l’ennesima volta, pensare?

Per l’ennesima volta?

Questa volta no. Questa volta occorre agire.

Non ce la fai più a ridimensionare quell’onda che a volte monta e pare sia arrivata a salvarti.

Come?

Se gli strumenti non te li hanno dati.

Se le persone che hai incontrato hanno fatto in tutti i modi di incasellarti assieme a loro, e sotto di loro?

Se hanno fatto di tutto per portarti via la libertà di lottare per i tuoi bisogni e soprattutto, per la verità?

Già, perché la bestemmia allo spirito è quella che raggiunge il tuo senso del vero e per l’egoismo del potente, lo minaccia, lo infragilisce e infine, lo spezza in più parti. Immobilizzando il tuo giudizio e annientando la tua libertà.

I pensieri affollano la mente mentre i tuoi piedi scivolano sulla scalinata del sottopassaggio. Uno dopo l’altro si superano. Mentre con lo sguardo fai scorrere velocemente i numeri dei binari.

Davanti agli occhi, d’un tratto tua madre. Tua sorella. Tuo fratello malato.

Ti senti oppresso. Senza futuro. Predestinato e bloccato.

Poi, ricordi le parole di quel tuo amico che anni fa è partito per l’America e non l’hai più sentito.

“Arriverà un momento in cui dovrai capire” ti aveva detto.

“L’andare via non è un problema di organizzazione, ma di preparazione, e poi, di ‘salto’: devi essere disposto a lasciare tutto per l’intuito”.

E quando gli avevi parlato di tua madre sola, che aveva bisogno di te,  ti aveva risposto:

“E’ straziante tagliare certi legami fatti di pelle e carne. Ma il primo dovere ce l’hai verso la verità.

Devi comprendere i tuoi progetti e metterti nelle condizioni di realizzarli”.

Ti sembra di vedere il suo sorriso sereno. Ricordi la sua mano sulla tua spalla. Ti sembra quasi di sentirne il calore.

L’altoparlante annuncia:

“sul 8° binario, è in partenza il treno per Barcelona Estacio Saint”.

Brucia quell’onda.

E’ tornata. Finalmente.

Non stai pensando a nulla.

E’ l’istinto animale di sopravvivenza che ti muove.

Che vada oltre il solito contratto con il senso di normalità e di conformità.

Che sappia veramente cosa vale e per cosa spendere tutte le energie,

che ti faccia uscire dalle file, sopportare la vergogna, i giudizi e portare avanti uno slancio.

Scorrono le pareti del sottopassaggio. Hai superato il cartellone col numero del tuo binario.

Sul tuo viso non si legge più il solito sorriso ben calibrato e dosato, nei tuoi occhi una luce antica.

Vai!

Non pensare a nulla.

Vai.

(O meglio, lasciati andare).

Entri nel vagone appena approdato al binario e ti senti come un marinaio che sale su una nave da esplorazione, verso un nuovo mondo.

L’eccitazione enorme che ti trovi nella pelle e nelle orecchie e negli occhi, ti lascia un varco istantaneo che raggiunge la ragione e ti dice

che sei partito.

Pubblicato in Due

LA DONNA ANGELO

La donna angelo
 

1. Ho incontrato una ragazza, ieri

Ieri, ad un pub dove si balla caraibico, ho incontrato una ragazza.

Entro. I miei zii mi precedono. Si dirigono ad un tavolo e salutano.

Al tavolo, due uomini e tre donne. Io saluto due delle donne e i due uomini.

“Ciao”

“Ciao”

“Piacere Giovanni”

“Francesco, piacere”

“Luca”

“Piacere”

“Piacere, Anna” una donna

“Piacere ”

“Piacere, Patrizia” un’altra donna

“Piacere”

La donna che non ho saluto è lei. Si chiama Imma, lo scopro più avanti mentre parla con mio zio.

Imma è bella, d’un bello che te ne accorgi. Di una bellezza che esige reverenza.

Mia zia si siede accanto a lei, e io accanto a mia zia.

Mia zia si fa un po’ più avanti, e mi pare di vedere con la coda dell’occhio che lei mi guarda. Mi giro. Mi guarda.

Può essere?

Provo a vedere se mi risponde allo sguardo un’altra volta. Mi giro ancora. Mi guarda.

Voglio vedere se si sofferma, quando incrocia con i suoi i miei occhi, oppure se li distoglie subito.

La guardo. Ci guardiamo..Si sofferma.

Per tutta la serata aspetto il momento in cui posso scambiare occhiate.

Passa il tempo,  mia zia si alza, io mi alzo, lei si alza, io mi siedo di nuovo allo stesso punto e guardo verso la pista, sorseggiando il mio liquore alla liquirizia.

Lei è due passi avanti a me, è in piedi, ogni tanto si volta  a guardarmi, e mi sorride.

Passa il tempo, e non le dico niente.

Come al solito non riesco a fare la prima mossa.

Fino a che..Lei si avvicina..Io sul bordo della panca, appoggiato con la schiena al tavolo, guardavo le coppie ballare..

“Scusa”

“Sì?”

“Mi faresti passare per piacere?”

E indica dietro di me.

Mi volto e vedo un mucchietto di cappotti.

Bene, attacca bottone.

“Ti serve qualcosa?” “Te la prendo io”

“Sì Grazie”

“Dimmi, cosa ti serve?”

Le sorrido, lei rispondendo al sorriso dice:

“Il cappotto. Sai, ho freddo”

“Si?…Hai freddo?”

……

Le prendo il cappotto e glielo do, sempre sorridendo.

“Timidezza di cazzo” penso tra me e me.

“Scusa, già che ci sei puoi prendermi anche la borsa?”

Bene, un’altra occasione per sentire la sua voce.

Dai, non tacere, non prenderle la borsa e basta. Di qualcosa, cerca di parlare! “Qual è, questa?”

“Sì”

“Ecco tieni”

Di nuovo in silenzio.

Scambio di sguardi.

Si riempie il cuore.

Poi.

Cercavamo di incrociare gli sguardi un’altra volta, per poi magari iniziare a parlare un po’ più a lungo. Cercavamo momenti in cui potevamo scambiarci un sorriso.

Il fatto è che già “qui” ero in difficoltà. Perché lei mi guardava, e io ne ero incantato, felice..ma perché allora mi veniva di voltare lo sguardo?

Allora..

Prendo coraggio, la fisso, lei come se avesse un radar, si volta all’improvviso verso di me e risponde allo sguardo. Sto per girare di scatto la testa, ancor prima di pensare di non farlo..Torna la ragione, blocco il collo, e mantengo i miei occhi nei suoi. Ci sorridiamo.

Gioia.

Ok, ora dovrei dirle qualcosa.

Niente.

Mi alzo, e vado a sedermi su una panchina a bordo pista. Passano 5 minuti.. Lei è al mio fianco.
Siamo vicini, ci troviamo sempre vicini. Sempre.

Al solito, io mi giro, lei si gira, ci guardiamo, sorriso, e silenzio.

Mi giro, si gira, ci guardiamo, sorriso, e silenzio.

Fino a che..

“Ei tu”

Un tizio, la chiama.

“Sì?”

Risponde educatamente Imma.

“Vieni qui”

Io non capisco molto cosa stia succedendo, forse si conoscono, forse il tizio a bisogno di qualcosa…

Poi il tizio insiste perché Imma gli si avvicini, ma lei non ci va e quello…

“E’ tuo marito?” mi indica.

“Sì” dice lei.

Che succede? Mi ha messo in mezzo.

Le chiede se fossi suo marito.

“Sì, è mio marito”.

Ei! Forse ho capito, la sta importunando, è ubriaco, lei ora vorrebbe che la aiutassi..Ho l’opportunità di conoscerla..Ma guarda un po’, le classiche scene da film.

Io e Imma ci guardiamo, ci sorridiamo.

Lui mi chiede:“E’ tua moglie?”

La guardo, cerco il permesso di rispondere che è mia moglie, lei mi fa cenno di sì, perciò rispondo “Sì” “Si, è mia moglie” Inorgoglito.

Lui si avvicina “E’ bellissima”

Mi alzo in piedi (tutto il precedente l’ho fatto da seduto).

“Non ho mai visto niente di così bello nella mia vita” prosegue il tizio.

Io guardo negli occhi Imma, “E’ vero”, rispondo.

Lei mi sorride.

Comunque, il tizio se ne deve andare, le da fastidio, e poi ormai rompe le palle, ci siamo conosciuti si può dire..

“Davvero è tua moglie?” “Sì, sì, è mia moglie”

Pausa.

“Come ti chiami?” lo interrompo, cambio discorso.

Mi guarda perso.

“Come ti chiami?”

“Toro”

“Toro?”

“Sì sono di Trento, abito a Trento”

Ma che centra. “Sì?”

“Anche tu non sei di qui”

Ma che centra. “Sì, sono di Mantova”

“Mantova?”

Chiacchiericcio.

“Tu lo sai già che cosa vuoi?”

“Cosa?”

“Tu lo sai già che cosa vuoi?”

Ma che cosa vuole dire? “Non ho capito bene”

“Tu lo sai già, che cosa  vuoi?”

Che imbarazzo, ma che cazzo vuole? “In che senso?”

“Da bere, posso offrirti da bere?”

Aaah! “No grazie, ho già bevuto, ti ringrazio”

Sorrisi. Sorrisi.

Dai ora via. Vai via.

“Ciao ciccio”

E lo allontano.

“Ciao,..è bellissima eh? bellissima. Sei fortunato tu, ma davvero sei il marito?”

“Sì sono il marito”

E vai.

“Sei fortunato tu, sei fortunato”

Allontanandosi.

“Ciao”

Restiamo soli io e Imma.

Ci guardiamo, un po’ imbarazzati.

Ora sono legittimato ad attaccare discorso.

“Grazie” mi dice lei.

Io sorrido.

Non riesco ad uscire dall’imbarazzo.

Di istinto: “Mi ha messo in imbarazzo quello. Cazzo” E quasi subito mi pento di aver detto cazzo.

Le volgarità no! Comunque, va bene la via della schiettezza. E’ inutile nasconderlo, ero imbarazzato. Meglio essere sinceri.

“Ma io ho paura, che vuole, mi fissa ancora”

“No dai stai tranquilla”

Ma che dire a una ragazza che ti dice così? Non so proprio cosa dire.

“Vuoi andare a fumare fuori?” Mi chiede lei, che probabilmente mi aveva visto precedentemente andare a fumare fuori con mia zia.

“Sì”

Le offro io una sigaretta.

Ed usciamo.

Toro, mi sa che ci segue con lo sguardo.

“Ma tu non sei di qui”

“No, ho gli zii, i parenti tutti qui, ma io vivo a Mantova”

“Ah bello”

Non so che dirle. In testa mi viene da pensare a quando andavo a cimare..e mi capitava di percorrere in lungo i filari a piedi, nel terreno fangoso, con gli stivaloni di gomma.

E d’improvviso peggioro. L’imbarazzo, trasforma le mie frasi in monosillabi.

“Io faccio psicologia”

“Psicologia!”

“Si ho finito i tre anni e ora vorrei specializzarmi in psicologia dello sviluppo”

“Che bello”

“Mi piacerebbe lavorare con i bambini”

“Belli i bambini”, trasognato.

Finito di fumare la sigaretta rientriamo.

Il resto della serata, si svolge sulla falsa riga della prima parte, con l’eccezione che finalmente ballo. Con mia zia. E con una ragazza che compiva gli anni quella sera. 18.

Che bella sensazione, sentire quel corpo da diciottenne fresca fresca, morbido e delicato muoversi sensualmente sotto le mie mani…

Tornato a sedere, sono vicino a Imma.

Ci troviamo sempre vicini.

Alla fine della serata ci salutiamo.

“E tu quando parti?”

“Il 2 o il 3”

“Ah allora ci vediamo ancora”

“Scì”

Mi da un bacio, e va via.

Lei è bella. Probabilmente è il tipo per cui fanno a botte per conquistarla.

Mentre ero con quel tizio, Toro, pensavo: “Che faccio?”, Sentivo un istinto unico di fondo, un’unica soluzione: “picchiarsi”. Mi sentivo come un animale, che deve conquistare la sua femmina.

“L’unica cosa da fare è picchiarsi. Vogliamo la stessa donna” pensavo.

“Qui ci si deve picchiare e chi vince la conquista”.

E se perdo? Facile che perda, io sono ansioso e a volte vado nel pallone, e quando capita mi comporto in modo strano, potrei perdere anche con un bambino.

Poi ho pensato a una cosa. E ho cercato di mantenermi salda questa consapevolezza per tutta la sera. “Non sono io che devo conquistare lei. E’ lei che deve scegliere”.

Andiamo, non è come tra gli animali! Noi abbiamo gli stessi istinti sì, ma è diverso. Noi non dobbiamo scontrarci teste contro teste, corna contro corna, per conquistare la femmina. Tra di noi se una donna non ti vuole, non ti vuole.

Bene, allora stai sereno….?

Devo capire però se è possibile farsi non scegliere da una donna che ti vuole.

2. Il numero è nel fiore 

Io, mio zio, e un amico di mio zio, fumiamo una sigaretta fuori dal locale.

Sto pensando a Imma, spero che venga stasera. Stasera le parlo di più, la conoscerò meglio, e la inviterò ad uscire per domani.

Mi giro. Eccola, è arrivata.

Che bella che è.

E’ con due amiche e due ragazzi, uno è quello dell’altra volta,..Giovanni, mi pare.

Si avvicinano, lei mi guarda da lontano.

“Ciao”. Scandisco muovendo la bocca mentre la saluto con la mano. Me ne pento subito.

Arriva.

 “Ciao”

“Ciao bella”

Ci baciamo.

“Come stai?”

“Bene,….bene”.

Ci guardiamo, ci sorridiamo.

E taccio.

Loro si mettono in fila alla biglietteria.

Io, mio zio, e l’amico di mio zio, finiamo la sigaretta e ce ne andiamo.

Sento lei, che dice:

“Ah voi avete già fatto il biglietto?”

Mio zio e l’amico sono già entrati, perciò è rivolta a me.

Io mi ero già incamminato, faccio finta di non averla sentita, non mi volto neppure ed entro.

Ero come un sorcio che fugge dal gatto. Pensare che mi stesse parlando mi aveva già fatto emozionare.

Entriamo.

Entra.

Ci vediamo. Viene vicino a me. Si siede al mio fianco.

Io non dico niente, come al solito ci scambiamo sguardi, ma non dico niente.

Non  mi viene niente da dire, da dirle.

Passa un ora. La guardo ballare con le altre persone e sono ingiustificatamente geloso.

Mi alzo dal mio posticino, 20 passi e la raggiungo.

La guardo.

“Vuoi?” le chiedo tendendole la mano.

Sempre con nervosismo e fretta, storpio quasi la voce per l’emozione.

Insomma, la invito a ballare.

Sento il suo seno sodo contro il mio petto. Ha un corpo splendido, e lo sento muoversi sotto le mie mani. E’ bellissimo, se ci penso perdo il ritmo.

Finisce la canzone. Voglio farne un altro, mi sento come un bambino ingordo che finisce il primo gelato e vuole il secondo.

“Non so se si può, ma, facciamo anche questo?”

“Sì, perché no?”

“Non lo so, magari non si può ballare di seguito con la stessa persona”.

“No, no”. Mi tranquillizza.

L’altro ballo lo faccio completamente ammutolito.

Non le dico niente per tutta la canzone. Finisce anche questo. Ci sorridiamo. Mi accarezza i fianchi, io pure, e lei mi dice “bravo”.

Me ne ritorno al mio posticino.

L’amico di mio zio si siede vicino a me e attacca bottone

“Attacca sulla fascia” e ride.

“Cosa?” Sorrido.

“Attacca sulla fascia, lascia perdere il centro campo” e ride.

Vicino a me c’è mio Zio, ride anche lui,  mi volto verso di lui con espressione interrogativa.

“Che dice?”

“Attacca sulla fascia,..con Imma. Fai poco a poco. Come stai facendo.” Mi risponde.

“Costruisci sulla fascia: nel senso che, quando una squadra ha il centro campo forte, crea gioco in verticale e va dritto in area a fare gol. Quando invece non ce l’ha forte si muove sulla fascia e poi fa il cross centrale. Fai gol così”. Completa l’amico di mio zio.

Che forte. Ridiamo insieme.

Però passa un’altra ora e io non riesco a prendere nessuna iniziativa costruttiva.

Mi alzo e vado a fumare con mio Zio.

“Non so che fare, mi sono bloccato” gli dico.

“E perché?”

“Perché mi piace!”.

“Ma stai tranquillo, invita a ballare qualche altra ragazza…hai visto Anna?”.

 “No. Io voglio solo lei”

“France, non fare così. Ti dico una cosa: ‘le donne, sono tutte puttane’. Non devi sentırti dipendente. Lo capiscono. Poi sono cazzi tuoi. Quando percepiscono che ti tengono in mano, non ti scelgono mai. Hai finito di essere uomo. Guarda me, io sono stato a letto con un sacco di donne, non perché ero un adone, ma perché ci sapevo fare. Io, le facevo ridere ed ero sicuro di me stesso. Stai sereno, non essere teso. Sei teso quando siete insieme. L’ho notato..Devi stare sereno.”

“Lo so”.

“ Se sei teso risulti pesante. Le fai scappare. Stai sereno, se non è lei che importa. Ce ne sono un sacco stasera”.

Mi guardò.

“Il fatto è che mi sembra di fare un torto a lei”.

Risposi io.

E lui quasi disgustato:

“Ma che dici Francè”.

Sì è proprio così. Perché se Imma è la mia Lei, anche se lei non lo sa, io dipendo da lei. E’ qualcosa che va oltre il “ballo”, che va oltre quella serata. Se io dipendo da lei, non posso che aspettare lei. Non me ne frega niente degli altri, e se io non sto con lei, mi intristisco. Ecco perché mi deprimo: non riesco a stare con lei, e mi intristisco.

Bè la serata prosegue come era iniziata.

Ogni volta che lei mi si avvicina o che mi dice qualcosa, io non le dico niente.

Cresce l’imbarazzo per le mie scene mute.

Sono in stand by. E non ce  modo di farmi ripartire.

Per l’ennesima volta mi si siede vicino, e mi guarda.

Io taccio.

Passa un po’ di tempo in silenzio.

D’improvviso…penso: “ma dai, ha ragione mio zio, stai sereno, non stare così teso, attacca bottone, e poi se non è lei, sarà un’altra..”

Mi giro, mi tendo verso di lei, mi è venuta in mente una cosa da dirle.

Vorrei chiederle una cosa, qualsiasi cosa..improvviserei in realtà.

Lei, in quel momento si volta dall’altra parte e chiede una cosa a mia Zia.

Mi disimpegno, e smorzo un risolino di imbarazzo.

Forse è meglio ho risparmiato qualche considerazione banale.

Si rigira. 

Sento una bachata, le chiedo: “ Siamo ancora in tempo per farla?”

“Sì”

Andiamo a ballare.

Balliamo, la canzone finisce, senza che nessuno dei due dica niente facciamo anche l’altra.

Finisce la seconda canzone, ci guardiamo, ci sorridiamo.

Mi sento triste, sta passando l’ennesima occasione per parlarle, per rendermi interessante ai suoi occhi, per l’ennesima volta sto facendo scena muta.

“Vuoi andare a fumare una sigaretta”

Ultimo escamotage.

“…Verrei volentieri, ma c’è mio fratello, lui non sa che fumo”

“Ah” quindi l’altro ragazzo è suo fratello.

Non dico niente.

Devo sembrare un demente da fuori.

Chissà che facce che faccio.

“Va bene”

Che tristezza.

Ma dai. Fra, insisti un po, che imbarazzo. Dille del numero, dille che vuoi lasciarle il numero per sentirvi nei giorni successivi ed uscire insieme. “Senti prima che te ne vada, ti va se ti lascio il mio numero, così possiamo sentirci, che dici?”

“Va bene”

Pffuu. Che fatica.

Vado a sedere.

Mia zia si gira e mi dice:

“Qui fanno caraibico fino alle due”

“Sì?”

Sono sorpreso. Perciò tra un po’ finisce il caraibico. 

“E poi che fanno?” le chiedo.

Lei: “Mettono discoteca”

Oh no, non so se mi metta più a disagio ballare caraibico o le musiche da discoteca.

“E noi che facciamo?”

“Stiamo”. Mi strizza l’occhio.

“Eh, eh” rispondo io e le sorrido.

E che cazzo. Di male in peggio.

Io mi deprimo con la discoteca, il 60 per cento delle volte capita così.

Mi sono sempre sentito a disagio e frenato nelle discoteche.

Bè aspettiamo.

Via.

Prima canzone da discoteca. Non ballo.

“Non vai a ballare Francesco?”

“Dopo zia.”

Passa un ora, sono completamente bloccato. Non ballo.

Braccia conserte e gambe accavallate, chiari messaggi di ostilità verso l’ambiente.

Guardo Imma ballare, ogni tanto lei si gira e incrociamo lo sguardo.

Sono triste e depresso.

Anna, l’amica dei miei zii, che avevo conosciuto il giorno prima, si avvicina e mi invita a ballare,

Io le dico che non mi va. Insiste, dice che è tanto per scherzare un po’.

Mi alzo. Come mi alzo, Imma mi vede e mi fa cenno con la mano di andare da lei. Io ci vado, come un cagnolino verso la scodella del mangiare. Mi metto a ballare, vicino a lei, mentre penso che la vorrei stringere tra le braccia e ballare con lei appiccicata al mio corpo.

Passa un 10 minuti, e io mi ritrovo a ballare goffo dall’altra parte della sala. Rallento, rallento, mi fermo. Mi rintristisco.

Mi appoggio al muro vicino all’uscita.

Guardo ancora Imma ballare.

Passa l’amico di mio zio, lui sta ballando e si diverte.

“No! Ti ho detto in fascia, lungo la fascia. Che fai ti sei messo del tutto in porta?” Ride e se ne va.

Nel frattempo Imma, è con un ragazzo con cui sembra essere abbastanza in confidenza. Beve un drink che probabilmente le ha offerto lui.

Passo un ora appoggiato a quel muro e ormai guardo nel nulla.

A un certo punto una ragazza si appoggia al muro a fianco a me.

C’ero già io appoggiato al muro. E si è messa vicino a me.

Inizio a pensare.

Sembra anche lei a disagio e annoiata.

Lo siamo entrambi in questo ambiente.

Lei è’ sensibile, come me. Pensa che sia tutto inutile questo ballare, come lo penso io.

Magari è lei. La ragazza che devo incontrare non è Imma, è lei.

Passa un dieci minuti e io mi decido ad attaccar bottone,

“Scusa, come mai non balli?”

Spallucce.

“Non ti piace la musica?”

Sì intuisco io, lei non mi risponde

“Neanche a me”. Aggiungo.

Non risponde niente.

Forse, è più triste di me.

“Dovrei avere della corda in macchina, se vuoi possiamo andare ad impiccarci insieme..”

Non afferra, mi guarda male, e se ne va.

Passano altri dieci minuti, poi mio zio:

“Andiamo?”

“Andiamo” rispondo io.

Vado a salutare Imma.

“Ciao, io me ne sto andando.”

Lei mi guarda sorridendo, forse sta pensando al fatto del numero.

“E’ il tuo ragazzo?” Indicandogli il ragazzo che le aveva offerto da bere.

“No, no”

“Senti te lo lascio il mio numero?”

Le chiedo, e i miei occhi si trasformano subito in quelli di un cucciolo che implora di sceglierlo.

“Il fatto è che è una situazione complicata” Mi risponde.

 “Comunque ci vediamo prima che tu parta” Mi dice lei.

“Non lo so, mi sarebbe piaciuto vederti fuori da questi ambienti. Magari fare un giro insieme, per conoscerci. Se ogni volta che vengo a ballare, devo fare le performance di stasera non esco più.”

”Noo.” Risponde lei, come fanno le maestre con i bambini quando fanno il broncio e minacciano di non voler giocare più.

“Voglio dire, non sono riuscito a sbloccarmi, ma mi piacerebbe stare con te in una altro contesto”

Più calmo ora, e più sciolto.

“Lo so. E’ che c’è questo ragazzo di mezzo”

“Ma ti do di nascosto il numero.”

Insisto quasi infantile.

Sorride.

“Mi spiace”

“Va bene. Ti saluto”

Baci.

Vado a prendere la mia giacchetta, mio zio e l’amico di mio zio che avevano seguito la scena, sorridono. L’amico di mio zio, si avvicina e mi dice “Colpo di testa finale eh?” e ride grasso.

Mentre prendo il maglione e la giacchetta, mi viene la solita sensazione del colpo di frusta.

Io lo immagino un po’ come il corrispettivo umano del pungiglione dello scorpione. 

Il classico colpo all’improvviso, come lo slancio di reni che quando sei in fondo in fondo, ti fa fare il salto finale. Il fatto è che il più delle volte peggiora le cose, e alla ricaduta scendi ancora più in basso.

A pensarci bene questo mio colpo di frusta finale mi ha sempre messo in imbarazzo.

Sono cose che non fanno tutti e ogni volta finisco per vergognarmene.

Insomma.

Mi incammino al bar, chiedo un tovagliolino. Vado alla cassa e chiedo una biro. Scrivo sul tovagliolino il mio numero di cellulare, restituisco la biro. Mi guardano.

Mi metto in un angolo della sala, col tovagliolino faccio un fiore, petali, stelo e foglia.

Metto il fiore in tasca e mi avvicino a Imma.

Io: “Ti saluto allora”

Ci baciamo, io le porgo di nascosto il fiore.

Mamma mia come ero nervoso.

Lei è sorpresa, forse l’ho messa a disagio.

Lei: “No, no”

Io: “Mettilo nella borsetta”, a bassa voce insistendo.

Lei: “Va bene”.

Io: “Dentro c’è il mi numero”, aggiungo velocemente.

Non le do tempo di rispondere e me ne vado, inciampando tra la gente. Mi sentivo un ladro in fuga, ero emozionantissimo.

Lascio lì anche la sciarpa nuova che mi hanno regalato il giorno prima. Non mi viene neppure in testa di rientrare per prenderla.

Fuori c’è mio Zio.

Mi appoggio alla macchina e accendo una sigaretta.

Gli spiego cosa ho fatto, mentre fumo fino a metà la sigaretta. Gliela passò con le mani che tremavano.

Lui mi vede forse per la prima volta nel mio classico stato confusionale da eccesso di emozione. E mi tranquillizza.

“Stai buono francè, hai fatto una cosa buona”

Non si può vincere volontariamente l’attenzione di una donna.

Essere scelto da una donna, non vittorie di lavoro, sportive, o altro: questo è il vero successo. Essere scelti da una donna.

Io desidero con tutto il cuore che mi scelga. Che scelga me.

La vera priorità: l’amore.

Spero che riesca a vedere al di là della mia goffaggine, e che rimanga attratta da me ugualmente.

Sento, che questa ragazza, è quella che stavo aspettando.

..in realtà lo penso ogni volta che ho a che fare con una ragazza che mi piace.

E questo pensiero mi fa cadere nell’ansia, perché penso sempre: “E se è la donna che aspettavo, se è lei, se è finalmente quella, non posso trattarla come una qualsiasi. Che devo fare?? La tratto in modo speciale. Ma se questa donna è Lei? E se io non riesco a conquistarla o Lei non mi sceglie, o se in quel momento non sono in grado di interessarle, che succede? La perdo per sempre? La perdo per sempre!  Perdo per sempre l’amore! L’unica realtà nella vita che può rendermi davvero felice! Che guaio!”

Quanti problemi nascosti in uno sguardo, in una intuizione.

La mia domanda è questa: “Cosa bisogna fare quando incontri quella donna che può renderti felice, davvero felice. Può darti qualcosa che non hai mai provato,  può davvero cambiarti la vita”.

Pensare tutto questo, mentre lei ti guarda è imbarazzante. Ti senti quasi in colpa nei suoi confronti, perché la carichi di questa responsabilità. Tu pensi tutto questo mentre la guardi, mentre lei ti guarda…

che segreto,

che romanzo.

IL PANCIONE E LA MADONNA

 

  Un ragazzo, capelli radi e corti, stempiatura e piazzola evidenti, indossa un maglioncino a V coi rombi fucsia e color salmone. Guanciotte piene, tipo San Bernardo. Siede a un tavolino della mensa universitaria.  

Accanto a lui, una biondina. Capelli corti, portati a caschetto, che arrivano appena sotto le orecchie. Occhi piccoli e vivaci, in movimento; che infatti, mentre mi siedo ad un tavolino vicino, mi indirizza contro veloce.  

Ha un corpicino perfetto, da modella, ma in miniatura.  

Quello che mi colpisce più di tutto è la serenità e l’equilibrio che emana la purezza del suo volto.

Vicino, il panzone.

Qualcosa stona coi miei modelli di pensiero.

  

– E’ un amico, e stanno studiando insieme –

 

Poi lei lo bacia sulla guancia.

– Solo il fratello o il fidanzato, una ragazza, può baciare sulla guancia. E dopo i tredici anni si smette di baciare il fratello – 

 

I miei pensieri, sono incorniciati da tavolini verde pastello, libri rossi e astucci blu aperti. Da un sapore gradevole di crudo e mozzarella della mia economica piadina. E purtroppo, a squarciare la poesia, il profilo inevitabile al mio sguardo di un culone rosa scuro di una ragazzona che mangia di fronte a me.

 

– E’ il fidanzato? Come può essere? Sarà ricco –

 

Poi sento la sua voce acutina con flessioni femminili e la ‘s’ di pezza, e penso:

“manco fosse ricco”.

 

– E’ l’amico gay con cui è piacevole studiare..-

 

La loro sintonia è dolce e spontanea.

Ora lei, simulando di dargli uno schiaffo, partendo un pò veloce e poi rallentando, gli sfiora delicatamente la nuca.

Lui, con un dito le stuzzica i fianchi.

Lei, con un pollice gli preme la fronte, il naso, la gota che è rivolta dal suo lato, come se seguisse tanti piccoli bottoncini… Ridono.

Lei lo abbraccia.

Lui la guarda. Socchiude gli occhi. Si sporge lentamente verso di lei, congiungendo le labbra con espressione infantile e simpatica. Lei lo bacia.

 

E’ il fidanzato.

 

 

Com’è possibile??

 

 

Eppur l’amore, li rende artisti, poeti e sinceri bambini.

 

 

No!

E’ un esibizionista, non c’è altra spiegazione. Si accompagna con uno così perchè sa che l’accostamento non può che provocare curiosità. E che la gente la guarderà, chiedendosi:

“ ma com’è possibile che una ragazza così..”

E così avrà ogni volta la conferma della sua bellezza.

 

Rhone

Lungo il fiume, turista e solo,
aspetto un saluto che non arriva
Immerso nella non realtà,
cerco di attrarti silenziosamente a me.

Entrero’ nel tempo per avvicinare la tua anima
e lo fermero’ attraverso i versi 
che bruciano nella mia assoluta solitudine.

In quell’eterno, cerchero’ i tuoi occhi
che non mi conosceranno mai,

perchè io vivo solo nella poesia.

SENZAINFAMIASENZALODE

Mi guarda, e piano piano mi mostra il dito medio.

Ci guardiamo negli occhi per un minuto circa filato, finché non le dico: “Perché?” Lei mi risponde: “sfigato”

Io le ripeto: “perché?”

Lei non dice niente,

poi dopo altri 30 secondi che ci fissiamo le dico: “Per me, possiamo stare così tutta la serata..che hai? ti piacciono i miei occhi?”, lei fa spallucce.

I suoi, sono splendidi.

La adoro, mi fissa e mi sfida. Io la adoro. E’ splendida. Mi ha offeso, mi sta sfidando, ma la adoro. E non so neppure il perché mi stia facendo questo. La adoro. La adoro.

Lei lo sa:

sa quello che sono, sa che la voglio e mi mostra il medio.

Lei sa tutto e lo capisce, non so come, ma lo capisce. Io la voglio, e in qualche modo lei lo sa.

E’ con quel senza palle anonimo che ha attaccato lite col mio socio, “è il suo ragazzo?”, eppure non si sono scambiati neppure una carezza per tutta la serata, fatto sta che si accompagna con quel comune senzainfamiasenzalode insulso e pure bruttino.

Ha fatto spallucce e mi continua a fissare, io la guardo e le dico: “Sprechi il tuo tempo con me? guarda il tuo ragazzo, no?”. Mi guarda,

che begli occhi, la adoro. E’ splendida. E’ splendida.

All’improvviso mi viene un idea: mi alzo, mi faccio spazio tra le sedie e raggiungo il suo tavolo.

La guardo e le dico:

“Hai ragione a mandarmi a fanculo, e mi accodo a te: mi mando anch’io a fanculo. E sai perché? Perché appartengo a quel genere di persone che per timidezza non si avvicinano mai a un tavolo di un pub per dire con cortesia e stile a una ragazza come te, che la trovano bellissima, la più bella donna che abbiano mai incontrato.

Io  mi faccio coraggio, e ora, mi sento di chiederti scusa a nome di tutta questa categoria, perché non agiamo e alla fine vi costringiamo ad uscire con uomini vuoti e senza fascino”.

A quelle parole guardai il tizio senzainfamiasenzalode dritto negli occhi, lui accennò una reazione di finto orgoglio, ma si rimise a cuccia non appena vide dietro me Salvo e Gianni spostare di riflesso le sedie, pronti a raggiungerlo.

Conclusi:  

 “E se mi mandi a fanculo, forse è perché tutto questo, tu già lo sai” . 

Pubblicato in Due

PIAZZA GRANDE

 
Da poco rientrato in casa, Giovanni sentì il telefono squillare. Era circa mezzo giorno.  

Andò a rispondere. 

‘Pronto?’ 

Sentì una voce familiare, dire con un tono alto e dispiaciuto: 

‘ Ma no!’ 

Dubbioso chiese: 

‘….Come?’ 

‘Casa Macellari? Salve, sono Magalli da Piazza Grande, il programma su rai due in tv. Siamo in diretta, se accende la tv ci vede’ 

 Sorpreso, e con voce tremolante, Giovanni rispose: 

‘..S.Sì,..un attimo’ 

 Accese la tv, e Vide Magalli in quella scatoletta mentre diceva: 

‘Fatto?’ ‘Vede siamo proprio noi’ 

Giovanni sentì il cuore sussultare, non sapeva cosa pensare. Si sentiva invaso nella sua intimità quotidiana: gli faceva effetto che da un punto in bianco si trovasse a parlare in diretta con un conduttore televisivo e a tutta l’Italia. 

 Magalli, che non aveva ricevuto risposta, chiese ancora: 

“Sig. Macellari..mi vede?” 

Giovanni rispose titubante: 

‘Sì,sì’. 

 “Ecco, vuole che inquadriamo Veronica?” 

 Giovanni un po’ in ritardo e con un ansia che cresceva sempre più rispose: 

“No, no”. 

 … 

Cosa?? 

 Che cosa aveva detto? No no?? Come “no, no”? Gli aveva chiesto se preferisse Veronica a lui, Magalli. Cioè una bella donna, mora, abbronzata, maggiorata, nel fiore della giovinezza…a un ometto calvo e con la pancia. 

E aveva risposto “No, no”??  

Sentì la vergogna bruciargli dentro. 

Era investito da un nuovo flusso violento di energia che gli faceva battere il cuore a mille. Sudavano le mani e la fronte. 

Scoppiò definitivo il panico. 

 Dall’altra parte della cornetta Magalli continuava a parlare. Lo sentì dire distintamente: 

“Preferisce me a Veronica? Ci dovremmo conoscere, lei ha del coraggio, e a me piacciono gli uomini coraggiosi”. 

Probabilmente quel malefico piccoletto aveva anche ammiccato mentre lo diceva, ma Giovanni non se ne era accorto, perché guardava perso un punto fisso sulla cornice della TV. 

Si sentiva deriso, denigrato, umiliato nel profondo. 

Un tranquillo pranzo si era trasformato in una tragedia. 

Esagerava? Chi lo sa. 

Forse un dejà vu. Un drammatico dejà vu, che si era presentato alla sua testa e ai suoi pensieri, come un vetro opaco alla vista. 

“..Sig. Macellari…?..C’è? Mi sente?..Sig.Macellari? Sig. Macellaaarii?” 

  

Giovanni a quel punto, completamente in panico e incapace di ragionare, trovò, quasi come dettato da un istinto innato di sopravvivenza, le ultime forze rimaste per rompere l’immobilità in cui era caduto.. 

… 

e mettere giù la cornetta. 

Muto d’amore

 

 L’orizzonte buio,

lascia spazio a un’ improvvisa luce.

Sei amore,

lo so nel cuore.

Leggo nei tuoi occhi la dolcezza,

e della felicità ricordo la promessa.

Ma confuso in dubbi e incertezze

rischio il vero del messaggio.

Amore vorrei tacere,

per non perderti.

“E’ nel mio cuore il calore che non ti fa soffrire”

ma non ho le parole, per fartelo capire .