IL FOLLETTO CHE VOLLE ANDARE SULLA TERRA

Folletto

C’era una volta nell’Olimpo un piccolo folletto figlio di un Dio del bosco.
Questo esserino viveva tra gli dei e da tutti era voluto bene e apprezzato, sebbene lui, fosse a tutti gli effetti, un eccezione vistosa tra quegli esseri bellissimi dalle sembianze umane. Lui, infatti, era piccolino, e il suo corpo era ricoperto di peli. Era, se pur minuto, di corporatura robusta, con muscoli del petto e delle braccia scolpiti e spessi. I capelli erano rosso rame e si innalzavano arruffati e dritti in testa. Aveva un petto possente e spalle larghe. Occhi neri, scuri come la notte e un muso animale che ricordava quello di un gorilla. Aveva mani corpulente e forti, i piedi invece erano sostituiti da zoccoli taurini. Il suo sedere era completamente glabro e spiccava, ad effetto, nel mezzo di quella sua folta pelliccia. Su di esso, vi era una coda simile a quella di uno scorpione.
Il folletto era intelligente, abile nei giochi e nelle attività dell’Olimpo, ed imparava velocemente. Era pure molto curioso e un giorno, mentre col permesso del padre, sceso sulla terra, passeggiava nascosto tra i folti pini di un bosco, vide con suo grande stupore una bellissima donna dai capelli ricci e neri che si rinfrescava nelle acque di un piccolo lago. Il folletto ne fu colpito a tal punto che chiese al padre che cosa fosse quell’essere tanto simile alle dee dell’olimpo, eppure, ai suoi occhi così tanto di più attraente.
Il padre, sentendo le sue parole e vedendo la sua eccitazione, decise di spiegargli tutta la verità.

Il padre aveva avuto il folletto da una donna e dunque il piccolo essere era per metà divino e per metà umano. E pure lo stesso padre, aveva vissuto una lunga vita sulla terra, fra gli uomini.
Così, gli spiegò la sua storia, dicendogli che quella forte attrazione che aveva avuto vedendo una donna era normale, in quanto lui stesso era per metà uomo.
Il piccolo folletto espresse il suo desiderio di andare a vivere sulla terra, ma il padre gli spiegò che sulla terra le sue doti non sarebbero state accettate e che nessuno in quel luogo aveva le sue sembianze.
Il folletto però insisteva e incitava il padre a trovare una soluzione. Così che suo padre escogitò una possibile idea. C’erano nell’Olimpo dei corpi di vecchi eroi, belli e possenti come dei, ma pur sempre dalle sembianze umane e dotati di sentimenti. Il folletto avrebbe potuto indossare uno di quei corpi e così poter scendere sulla terra. Mai avrebbe dovuto lasciarsi sfilare di dosso il corpo da uomo perchè gli uomini mai avrebbero potuto capire e per lui sarebbe stato pericoloso.
Così, il piccolo folletto, scelse un corpo, lo indossò e scese sulla terra.

Giunto sulla terra scordò tutto:
con gli occhi del folletto non vedeva che il corpo dell’uomo e dunque, non poteva che pensare e sentire che come un uomo. Infatti, né il padre ricordava, né il folletto poteva sapere, che l’idea pura, quello che di fatto erano gli Dei, scesa in un corpo di uomo è lì intrappolata e assalita da una miriade di sensazioni ed emozioni che ne fanno dimenticare la natura divina al suo interno.

Così, il folletto, o meglio l’eroe, iniziò la sua nuova vita. Dimentico dei suoi più originari piani, ma pur sempre, a qualche livello, sensibile della sua essenza divina.

Dunque: un folletto, un eroe e l’uomo.

Il folletto era un dio e non conosceva né pietà né nulla che non appartenesse alla logica.
L’eroe invece non comprendeva che abnegazione e ideale.

E l’uomo? Lui aveva questo orientamento a guardarsi dentro con cui aveva conosciuto il folletto. E a volte subiva forti passioni che lo portavano a negare qualsiasi limite, e attraverso le passioni aveva scoperto l’eroe.
A poco a poco l’eroe e il folletto si ritrovarono ben distinti dentro di se, e l’uomo faceva sempre più fatica a vivere i suoi giorni terreni.

A volte quando uno stolto offendeva l’uomo, il folletto usciva fuori piccolo piccolo, col suo culetto spelacchiato brandiva un’ascetta in mano e con un piglio irato si slanciava contro lo stolto. Pronto ad ucciderlo. Accadde un giorno che ne uccise uno mettendo in gravissimi guai l’uomo.

Altre volte invece, quando l’uomo incontrava barriere era l’eroe che lo trascinava verso l’idea di terre inesplorate e da scoprire allontanandolo da qualsiasi possibilità di attesa.

“Dove vai?” Gridava alle volte l’uomo verso il folletto. “Dove vai?” gridava ripetutamente contro l’ottusa passione del folletto, che con le zampette corte faceva ridere quando correva, perchè sculettava

“Cosa devo fare dunque?” Gli chiedeva allora alle volte il folletto.
“Non uscire. Non uscire mai”. Rispondeva l’uomo, confuso.
“Ma se in te giace la mia grandezza che fare?” Pensava però poi.

“Non mi trascinare, non mi mettere in pericolo!” Diceva invece alle volte all’eroe.
“Ma tu mi rendi grande”. Pensava tra se e se.

Ai suoi occhi l’eroe e il folletto gli erano migliori. Il folletto era potente e libero. L’eroe era cieco e onnipotente. L’uomo non sentiva di avere nient’altro valore al di là di quelle due presenze dentro se.

A lui rimaneva il rossore delle gote e l’irrefrenabile desiderio.

Dal rossore era impietrito e del desiderio era schiavo.

Riusciva ad agire solo quando il folletto agiva e riusciva a muoversi solo quando l’eroe decideva di muoversi.

– Dunque l’uomo chi è? –

Legati tra loro 

gli uomini,

custodiscono 

la loro verità

nell’amore

l’uno,

dell’altro