PUBBLICAZIONE “PIRATI DI CERA”, EDIZIONE ALBATROS IL FILO (2023)

Dopo un decennio ormai dalla sua originaria scrittura, a compimento di un ciclo, ho deciso di fare pubblicare il libro Pirati di Cera, raccolta di racconti scritti nel 2010. A pubblicarlo è la casa editrice Albatros il Filo.

Lo potete acquistare qui:

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LA DONNA ANGELO

La donna angelo
 

1. Ho incontrato una ragazza, ieri

Ieri, ad un pub dove si balla caraibico, ho incontrato una ragazza.

Entro. I miei zii mi precedono. Si dirigono ad un tavolo e salutano.

Al tavolo, due uomini e tre donne. Io saluto due delle donne e i due uomini.

“Ciao”

“Ciao”

“Piacere Giovanni”

“Francesco, piacere”

“Luca”

“Piacere”

“Piacere, Anna” una donna

“Piacere ”

“Piacere, Patrizia” un’altra donna

“Piacere”

La donna che non ho saluto è lei. Si chiama Imma, lo scopro più avanti mentre parla con mio zio.

Imma è bella, d’un bello che te ne accorgi. Di una bellezza che esige reverenza.

Mia zia si siede accanto a lei, e io accanto a mia zia.

Mia zia si fa un po’ più avanti, e mi pare di vedere con la coda dell’occhio che lei mi guarda. Mi giro. Mi guarda.

Può essere?

Provo a vedere se mi risponde allo sguardo un’altra volta. Mi giro ancora. Mi guarda.

Voglio vedere se si sofferma, quando incrocia con i suoi i miei occhi, oppure se li distoglie subito.

La guardo. Ci guardiamo..Si sofferma.

Per tutta la serata aspetto il momento in cui posso scambiare occhiate.

Passa il tempo,  mia zia si alza, io mi alzo, lei si alza, io mi siedo di nuovo allo stesso punto e guardo verso la pista, sorseggiando il mio liquore alla liquirizia.

Lei è due passi avanti a me, è in piedi, ogni tanto si volta  a guardarmi, e mi sorride.

Passa il tempo, e non le dico niente.

Come al solito non riesco a fare la prima mossa.

Fino a che..Lei si avvicina..Io sul bordo della panca, appoggiato con la schiena al tavolo, guardavo le coppie ballare..

“Scusa”

“Sì?”

“Mi faresti passare per piacere?”

E indica dietro di me.

Mi volto e vedo un mucchietto di cappotti.

Bene, attacca bottone.

“Ti serve qualcosa?” “Te la prendo io”

“Sì Grazie”

“Dimmi, cosa ti serve?”

Le sorrido, lei rispondendo al sorriso dice:

“Il cappotto. Sai, ho freddo”

“Si?…Hai freddo?”

……

Le prendo il cappotto e glielo do, sempre sorridendo.

“Timidezza di cazzo” penso tra me e me.

“Scusa, già che ci sei puoi prendermi anche la borsa?”

Bene, un’altra occasione per sentire la sua voce.

Dai, non tacere, non prenderle la borsa e basta. Di qualcosa, cerca di parlare! “Qual è, questa?”

“Sì”

“Ecco tieni”

Di nuovo in silenzio.

Scambio di sguardi.

Si riempie il cuore.

Poi.

Cercavamo di incrociare gli sguardi un’altra volta, per poi magari iniziare a parlare un po’ più a lungo. Cercavamo momenti in cui potevamo scambiarci un sorriso.

Il fatto è che già “qui” ero in difficoltà. Perché lei mi guardava, e io ne ero incantato, felice..ma perché allora mi veniva di voltare lo sguardo?

Allora..

Prendo coraggio, la fisso, lei come se avesse un radar, si volta all’improvviso verso di me e risponde allo sguardo. Sto per girare di scatto la testa, ancor prima di pensare di non farlo..Torna la ragione, blocco il collo, e mantengo i miei occhi nei suoi. Ci sorridiamo.

Gioia.

Ok, ora dovrei dirle qualcosa.

Niente.

Mi alzo, e vado a sedermi su una panchina a bordo pista. Passano 5 minuti.. Lei è al mio fianco.
Siamo vicini, ci troviamo sempre vicini. Sempre.

Al solito, io mi giro, lei si gira, ci guardiamo, sorriso, e silenzio.

Mi giro, si gira, ci guardiamo, sorriso, e silenzio.

Fino a che..

“Ei tu”

Un tizio, la chiama.

“Sì?”

Risponde educatamente Imma.

“Vieni qui”

Io non capisco molto cosa stia succedendo, forse si conoscono, forse il tizio a bisogno di qualcosa…

Poi il tizio insiste perché Imma gli si avvicini, ma lei non ci va e quello…

“E’ tuo marito?” mi indica.

“Sì” dice lei.

Che succede? Mi ha messo in mezzo.

Le chiede se fossi suo marito.

“Sì, è mio marito”.

Ei! Forse ho capito, la sta importunando, è ubriaco, lei ora vorrebbe che la aiutassi..Ho l’opportunità di conoscerla..Ma guarda un po’, le classiche scene da film.

Io e Imma ci guardiamo, ci sorridiamo.

Lui mi chiede:“E’ tua moglie?”

La guardo, cerco il permesso di rispondere che è mia moglie, lei mi fa cenno di sì, perciò rispondo “Sì” “Si, è mia moglie” Inorgoglito.

Lui si avvicina “E’ bellissima”

Mi alzo in piedi (tutto il precedente l’ho fatto da seduto).

“Non ho mai visto niente di così bello nella mia vita” prosegue il tizio.

Io guardo negli occhi Imma, “E’ vero”, rispondo.

Lei mi sorride.

Comunque, il tizio se ne deve andare, le da fastidio, e poi ormai rompe le palle, ci siamo conosciuti si può dire..

“Davvero è tua moglie?” “Sì, sì, è mia moglie”

Pausa.

“Come ti chiami?” lo interrompo, cambio discorso.

Mi guarda perso.

“Come ti chiami?”

“Toro”

“Toro?”

“Sì sono di Trento, abito a Trento”

Ma che centra. “Sì?”

“Anche tu non sei di qui”

Ma che centra. “Sì, sono di Mantova”

“Mantova?”

Chiacchiericcio.

“Tu lo sai già che cosa vuoi?”

“Cosa?”

“Tu lo sai già che cosa vuoi?”

Ma che cosa vuole dire? “Non ho capito bene”

“Tu lo sai già, che cosa  vuoi?”

Che imbarazzo, ma che cazzo vuole? “In che senso?”

“Da bere, posso offrirti da bere?”

Aaah! “No grazie, ho già bevuto, ti ringrazio”

Sorrisi. Sorrisi.

Dai ora via. Vai via.

“Ciao ciccio”

E lo allontano.

“Ciao,..è bellissima eh? bellissima. Sei fortunato tu, ma davvero sei il marito?”

“Sì sono il marito”

E vai.

“Sei fortunato tu, sei fortunato”

Allontanandosi.

“Ciao”

Restiamo soli io e Imma.

Ci guardiamo, un po’ imbarazzati.

Ora sono legittimato ad attaccare discorso.

“Grazie” mi dice lei.

Io sorrido.

Non riesco ad uscire dall’imbarazzo.

Di istinto: “Mi ha messo in imbarazzo quello. Cazzo” E quasi subito mi pento di aver detto cazzo.

Le volgarità no! Comunque, va bene la via della schiettezza. E’ inutile nasconderlo, ero imbarazzato. Meglio essere sinceri.

“Ma io ho paura, che vuole, mi fissa ancora”

“No dai stai tranquilla”

Ma che dire a una ragazza che ti dice così? Non so proprio cosa dire.

“Vuoi andare a fumare fuori?” Mi chiede lei, che probabilmente mi aveva visto precedentemente andare a fumare fuori con mia zia.

“Sì”

Le offro io una sigaretta.

Ed usciamo.

Toro, mi sa che ci segue con lo sguardo.

“Ma tu non sei di qui”

“No, ho gli zii, i parenti tutti qui, ma io vivo a Mantova”

“Ah bello”

Non so che dirle. In testa mi viene da pensare a quando andavo a cimare..e mi capitava di percorrere in lungo i filari a piedi, nel terreno fangoso, con gli stivaloni di gomma.

E d’improvviso peggioro. L’imbarazzo, trasforma le mie frasi in monosillabi.

“Io faccio psicologia”

“Psicologia!”

“Si ho finito i tre anni e ora vorrei specializzarmi in psicologia dello sviluppo”

“Che bello”

“Mi piacerebbe lavorare con i bambini”

“Belli i bambini”, trasognato.

Finito di fumare la sigaretta rientriamo.

Il resto della serata, si svolge sulla falsa riga della prima parte, con l’eccezione che finalmente ballo. Con mia zia. E con una ragazza che compiva gli anni quella sera. 18.

Che bella sensazione, sentire quel corpo da diciottenne fresca fresca, morbido e delicato muoversi sensualmente sotto le mie mani…

Tornato a sedere, sono vicino a Imma.

Ci troviamo sempre vicini.

Alla fine della serata ci salutiamo.

“E tu quando parti?”

“Il 2 o il 3”

“Ah allora ci vediamo ancora”

“Scì”

Mi da un bacio, e va via.

Lei è bella. Probabilmente è il tipo per cui fanno a botte per conquistarla.

Mentre ero con quel tizio, Toro, pensavo: “Che faccio?”, Sentivo un istinto unico di fondo, un’unica soluzione: “picchiarsi”. Mi sentivo come un animale, che deve conquistare la sua femmina.

“L’unica cosa da fare è picchiarsi. Vogliamo la stessa donna” pensavo.

“Qui ci si deve picchiare e chi vince la conquista”.

E se perdo? Facile che perda, io sono ansioso e a volte vado nel pallone, e quando capita mi comporto in modo strano, potrei perdere anche con un bambino.

Poi ho pensato a una cosa. E ho cercato di mantenermi salda questa consapevolezza per tutta la sera. “Non sono io che devo conquistare lei. E’ lei che deve scegliere”.

Andiamo, non è come tra gli animali! Noi abbiamo gli stessi istinti sì, ma è diverso. Noi non dobbiamo scontrarci teste contro teste, corna contro corna, per conquistare la femmina. Tra di noi se una donna non ti vuole, non ti vuole.

Bene, allora stai sereno….?

Devo capire però se è possibile farsi non scegliere da una donna che ti vuole.

2. Il numero è nel fiore 

Io, mio zio, e un amico di mio zio, fumiamo una sigaretta fuori dal locale.

Sto pensando a Imma, spero che venga stasera. Stasera le parlo di più, la conoscerò meglio, e la inviterò ad uscire per domani.

Mi giro. Eccola, è arrivata.

Che bella che è.

E’ con due amiche e due ragazzi, uno è quello dell’altra volta,..Giovanni, mi pare.

Si avvicinano, lei mi guarda da lontano.

“Ciao”. Scandisco muovendo la bocca mentre la saluto con la mano. Me ne pento subito.

Arriva.

 “Ciao”

“Ciao bella”

Ci baciamo.

“Come stai?”

“Bene,….bene”.

Ci guardiamo, ci sorridiamo.

E taccio.

Loro si mettono in fila alla biglietteria.

Io, mio zio, e l’amico di mio zio, finiamo la sigaretta e ce ne andiamo.

Sento lei, che dice:

“Ah voi avete già fatto il biglietto?”

Mio zio e l’amico sono già entrati, perciò è rivolta a me.

Io mi ero già incamminato, faccio finta di non averla sentita, non mi volto neppure ed entro.

Ero come un sorcio che fugge dal gatto. Pensare che mi stesse parlando mi aveva già fatto emozionare.

Entriamo.

Entra.

Ci vediamo. Viene vicino a me. Si siede al mio fianco.

Io non dico niente, come al solito ci scambiamo sguardi, ma non dico niente.

Non  mi viene niente da dire, da dirle.

Passa un ora. La guardo ballare con le altre persone e sono ingiustificatamente geloso.

Mi alzo dal mio posticino, 20 passi e la raggiungo.

La guardo.

“Vuoi?” le chiedo tendendole la mano.

Sempre con nervosismo e fretta, storpio quasi la voce per l’emozione.

Insomma, la invito a ballare.

Sento il suo seno sodo contro il mio petto. Ha un corpo splendido, e lo sento muoversi sotto le mie mani. E’ bellissimo, se ci penso perdo il ritmo.

Finisce la canzone. Voglio farne un altro, mi sento come un bambino ingordo che finisce il primo gelato e vuole il secondo.

“Non so se si può, ma, facciamo anche questo?”

“Sì, perché no?”

“Non lo so, magari non si può ballare di seguito con la stessa persona”.

“No, no”. Mi tranquillizza.

L’altro ballo lo faccio completamente ammutolito.

Non le dico niente per tutta la canzone. Finisce anche questo. Ci sorridiamo. Mi accarezza i fianchi, io pure, e lei mi dice “bravo”.

Me ne ritorno al mio posticino.

L’amico di mio zio si siede vicino a me e attacca bottone

“Attacca sulla fascia” e ride.

“Cosa?” Sorrido.

“Attacca sulla fascia, lascia perdere il centro campo” e ride.

Vicino a me c’è mio Zio, ride anche lui,  mi volto verso di lui con espressione interrogativa.

“Che dice?”

“Attacca sulla fascia,..con Imma. Fai poco a poco. Come stai facendo.” Mi risponde.

“Costruisci sulla fascia: nel senso che, quando una squadra ha il centro campo forte, crea gioco in verticale e va dritto in area a fare gol. Quando invece non ce l’ha forte si muove sulla fascia e poi fa il cross centrale. Fai gol così”. Completa l’amico di mio zio.

Che forte. Ridiamo insieme.

Però passa un’altra ora e io non riesco a prendere nessuna iniziativa costruttiva.

Mi alzo e vado a fumare con mio Zio.

“Non so che fare, mi sono bloccato” gli dico.

“E perché?”

“Perché mi piace!”.

“Ma stai tranquillo, invita a ballare qualche altra ragazza…hai visto Anna?”.

 “No. Io voglio solo lei”

“France, non fare così. Ti dico una cosa: ‘le donne, sono tutte puttane’. Non devi sentırti dipendente. Lo capiscono. Poi sono cazzi tuoi. Quando percepiscono che ti tengono in mano, non ti scelgono mai. Hai finito di essere uomo. Guarda me, io sono stato a letto con un sacco di donne, non perché ero un adone, ma perché ci sapevo fare. Io, le facevo ridere ed ero sicuro di me stesso. Stai sereno, non essere teso. Sei teso quando siete insieme. L’ho notato..Devi stare sereno.”

“Lo so”.

“ Se sei teso risulti pesante. Le fai scappare. Stai sereno, se non è lei che importa. Ce ne sono un sacco stasera”.

Mi guardò.

“Il fatto è che mi sembra di fare un torto a lei”.

Risposi io.

E lui quasi disgustato:

“Ma che dici Francè”.

Sì è proprio così. Perché se Imma è la mia Lei, anche se lei non lo sa, io dipendo da lei. E’ qualcosa che va oltre il “ballo”, che va oltre quella serata. Se io dipendo da lei, non posso che aspettare lei. Non me ne frega niente degli altri, e se io non sto con lei, mi intristisco. Ecco perché mi deprimo: non riesco a stare con lei, e mi intristisco.

Bè la serata prosegue come era iniziata.

Ogni volta che lei mi si avvicina o che mi dice qualcosa, io non le dico niente.

Cresce l’imbarazzo per le mie scene mute.

Sono in stand by. E non ce  modo di farmi ripartire.

Per l’ennesima volta mi si siede vicino, e mi guarda.

Io taccio.

Passa un po’ di tempo in silenzio.

D’improvviso…penso: “ma dai, ha ragione mio zio, stai sereno, non stare così teso, attacca bottone, e poi se non è lei, sarà un’altra..”

Mi giro, mi tendo verso di lei, mi è venuta in mente una cosa da dirle.

Vorrei chiederle una cosa, qualsiasi cosa..improvviserei in realtà.

Lei, in quel momento si volta dall’altra parte e chiede una cosa a mia Zia.

Mi disimpegno, e smorzo un risolino di imbarazzo.

Forse è meglio ho risparmiato qualche considerazione banale.

Si rigira. 

Sento una bachata, le chiedo: “ Siamo ancora in tempo per farla?”

“Sì”

Andiamo a ballare.

Balliamo, la canzone finisce, senza che nessuno dei due dica niente facciamo anche l’altra.

Finisce la seconda canzone, ci guardiamo, ci sorridiamo.

Mi sento triste, sta passando l’ennesima occasione per parlarle, per rendermi interessante ai suoi occhi, per l’ennesima volta sto facendo scena muta.

“Vuoi andare a fumare una sigaretta”

Ultimo escamotage.

“…Verrei volentieri, ma c’è mio fratello, lui non sa che fumo”

“Ah” quindi l’altro ragazzo è suo fratello.

Non dico niente.

Devo sembrare un demente da fuori.

Chissà che facce che faccio.

“Va bene”

Che tristezza.

Ma dai. Fra, insisti un po, che imbarazzo. Dille del numero, dille che vuoi lasciarle il numero per sentirvi nei giorni successivi ed uscire insieme. “Senti prima che te ne vada, ti va se ti lascio il mio numero, così possiamo sentirci, che dici?”

“Va bene”

Pffuu. Che fatica.

Vado a sedere.

Mia zia si gira e mi dice:

“Qui fanno caraibico fino alle due”

“Sì?”

Sono sorpreso. Perciò tra un po’ finisce il caraibico. 

“E poi che fanno?” le chiedo.

Lei: “Mettono discoteca”

Oh no, non so se mi metta più a disagio ballare caraibico o le musiche da discoteca.

“E noi che facciamo?”

“Stiamo”. Mi strizza l’occhio.

“Eh, eh” rispondo io e le sorrido.

E che cazzo. Di male in peggio.

Io mi deprimo con la discoteca, il 60 per cento delle volte capita così.

Mi sono sempre sentito a disagio e frenato nelle discoteche.

Bè aspettiamo.

Via.

Prima canzone da discoteca. Non ballo.

“Non vai a ballare Francesco?”

“Dopo zia.”

Passa un ora, sono completamente bloccato. Non ballo.

Braccia conserte e gambe accavallate, chiari messaggi di ostilità verso l’ambiente.

Guardo Imma ballare, ogni tanto lei si gira e incrociamo lo sguardo.

Sono triste e depresso.

Anna, l’amica dei miei zii, che avevo conosciuto il giorno prima, si avvicina e mi invita a ballare,

Io le dico che non mi va. Insiste, dice che è tanto per scherzare un po’.

Mi alzo. Come mi alzo, Imma mi vede e mi fa cenno con la mano di andare da lei. Io ci vado, come un cagnolino verso la scodella del mangiare. Mi metto a ballare, vicino a lei, mentre penso che la vorrei stringere tra le braccia e ballare con lei appiccicata al mio corpo.

Passa un 10 minuti, e io mi ritrovo a ballare goffo dall’altra parte della sala. Rallento, rallento, mi fermo. Mi rintristisco.

Mi appoggio al muro vicino all’uscita.

Guardo ancora Imma ballare.

Passa l’amico di mio zio, lui sta ballando e si diverte.

“No! Ti ho detto in fascia, lungo la fascia. Che fai ti sei messo del tutto in porta?” Ride e se ne va.

Nel frattempo Imma, è con un ragazzo con cui sembra essere abbastanza in confidenza. Beve un drink che probabilmente le ha offerto lui.

Passo un ora appoggiato a quel muro e ormai guardo nel nulla.

A un certo punto una ragazza si appoggia al muro a fianco a me.

C’ero già io appoggiato al muro. E si è messa vicino a me.

Inizio a pensare.

Sembra anche lei a disagio e annoiata.

Lo siamo entrambi in questo ambiente.

Lei è’ sensibile, come me. Pensa che sia tutto inutile questo ballare, come lo penso io.

Magari è lei. La ragazza che devo incontrare non è Imma, è lei.

Passa un dieci minuti e io mi decido ad attaccar bottone,

“Scusa, come mai non balli?”

Spallucce.

“Non ti piace la musica?”

Sì intuisco io, lei non mi risponde

“Neanche a me”. Aggiungo.

Non risponde niente.

Forse, è più triste di me.

“Dovrei avere della corda in macchina, se vuoi possiamo andare ad impiccarci insieme..”

Non afferra, mi guarda male, e se ne va.

Passano altri dieci minuti, poi mio zio:

“Andiamo?”

“Andiamo” rispondo io.

Vado a salutare Imma.

“Ciao, io me ne sto andando.”

Lei mi guarda sorridendo, forse sta pensando al fatto del numero.

“E’ il tuo ragazzo?” Indicandogli il ragazzo che le aveva offerto da bere.

“No, no”

“Senti te lo lascio il mio numero?”

Le chiedo, e i miei occhi si trasformano subito in quelli di un cucciolo che implora di sceglierlo.

“Il fatto è che è una situazione complicata” Mi risponde.

 “Comunque ci vediamo prima che tu parta” Mi dice lei.

“Non lo so, mi sarebbe piaciuto vederti fuori da questi ambienti. Magari fare un giro insieme, per conoscerci. Se ogni volta che vengo a ballare, devo fare le performance di stasera non esco più.”

”Noo.” Risponde lei, come fanno le maestre con i bambini quando fanno il broncio e minacciano di non voler giocare più.

“Voglio dire, non sono riuscito a sbloccarmi, ma mi piacerebbe stare con te in una altro contesto”

Più calmo ora, e più sciolto.

“Lo so. E’ che c’è questo ragazzo di mezzo”

“Ma ti do di nascosto il numero.”

Insisto quasi infantile.

Sorride.

“Mi spiace”

“Va bene. Ti saluto”

Baci.

Vado a prendere la mia giacchetta, mio zio e l’amico di mio zio che avevano seguito la scena, sorridono. L’amico di mio zio, si avvicina e mi dice “Colpo di testa finale eh?” e ride grasso.

Mentre prendo il maglione e la giacchetta, mi viene la solita sensazione del colpo di frusta.

Io lo immagino un po’ come il corrispettivo umano del pungiglione dello scorpione. 

Il classico colpo all’improvviso, come lo slancio di reni che quando sei in fondo in fondo, ti fa fare il salto finale. Il fatto è che il più delle volte peggiora le cose, e alla ricaduta scendi ancora più in basso.

A pensarci bene questo mio colpo di frusta finale mi ha sempre messo in imbarazzo.

Sono cose che non fanno tutti e ogni volta finisco per vergognarmene.

Insomma.

Mi incammino al bar, chiedo un tovagliolino. Vado alla cassa e chiedo una biro. Scrivo sul tovagliolino il mio numero di cellulare, restituisco la biro. Mi guardano.

Mi metto in un angolo della sala, col tovagliolino faccio un fiore, petali, stelo e foglia.

Metto il fiore in tasca e mi avvicino a Imma.

Io: “Ti saluto allora”

Ci baciamo, io le porgo di nascosto il fiore.

Mamma mia come ero nervoso.

Lei è sorpresa, forse l’ho messa a disagio.

Lei: “No, no”

Io: “Mettilo nella borsetta”, a bassa voce insistendo.

Lei: “Va bene”.

Io: “Dentro c’è il mi numero”, aggiungo velocemente.

Non le do tempo di rispondere e me ne vado, inciampando tra la gente. Mi sentivo un ladro in fuga, ero emozionantissimo.

Lascio lì anche la sciarpa nuova che mi hanno regalato il giorno prima. Non mi viene neppure in testa di rientrare per prenderla.

Fuori c’è mio Zio.

Mi appoggio alla macchina e accendo una sigaretta.

Gli spiego cosa ho fatto, mentre fumo fino a metà la sigaretta. Gliela passò con le mani che tremavano.

Lui mi vede forse per la prima volta nel mio classico stato confusionale da eccesso di emozione. E mi tranquillizza.

“Stai buono francè, hai fatto una cosa buona”

Non si può vincere volontariamente l’attenzione di una donna.

Essere scelto da una donna, non vittorie di lavoro, sportive, o altro: questo è il vero successo. Essere scelti da una donna.

Io desidero con tutto il cuore che mi scelga. Che scelga me.

La vera priorità: l’amore.

Spero che riesca a vedere al di là della mia goffaggine, e che rimanga attratta da me ugualmente.

Sento, che questa ragazza, è quella che stavo aspettando.

..in realtà lo penso ogni volta che ho a che fare con una ragazza che mi piace.

E questo pensiero mi fa cadere nell’ansia, perché penso sempre: “E se è la donna che aspettavo, se è lei, se è finalmente quella, non posso trattarla come una qualsiasi. Che devo fare?? La tratto in modo speciale. Ma se questa donna è Lei? E se io non riesco a conquistarla o Lei non mi sceglie, o se in quel momento non sono in grado di interessarle, che succede? La perdo per sempre? La perdo per sempre!  Perdo per sempre l’amore! L’unica realtà nella vita che può rendermi davvero felice! Che guaio!”

Quanti problemi nascosti in uno sguardo, in una intuizione.

La mia domanda è questa: “Cosa bisogna fare quando incontri quella donna che può renderti felice, davvero felice. Può darti qualcosa che non hai mai provato,  può davvero cambiarti la vita”.

Pensare tutto questo, mentre lei ti guarda è imbarazzante. Ti senti quasi in colpa nei suoi confronti, perché la carichi di questa responsabilità. Tu pensi tutto questo mentre la guardi, mentre lei ti guarda…

che segreto,

che romanzo.

PIAZZA GRANDE

 
Da poco rientrato in casa, Giovanni sentì il telefono squillare. Era circa mezzo giorno.  

Andò a rispondere. 

‘Pronto?’ 

Sentì una voce familiare, dire con un tono alto e dispiaciuto: 

‘ Ma no!’ 

Dubbioso chiese: 

‘….Come?’ 

‘Casa Macellari? Salve, sono Magalli da Piazza Grande, il programma su rai due in tv. Siamo in diretta, se accende la tv ci vede’ 

 Sorpreso, e con voce tremolante, Giovanni rispose: 

‘..S.Sì,..un attimo’ 

 Accese la tv, e Vide Magalli in quella scatoletta mentre diceva: 

‘Fatto?’ ‘Vede siamo proprio noi’ 

Giovanni sentì il cuore sussultare, non sapeva cosa pensare. Si sentiva invaso nella sua intimità quotidiana: gli faceva effetto che da un punto in bianco si trovasse a parlare in diretta con un conduttore televisivo e a tutta l’Italia. 

 Magalli, che non aveva ricevuto risposta, chiese ancora: 

“Sig. Macellari..mi vede?” 

Giovanni rispose titubante: 

‘Sì,sì’. 

 “Ecco, vuole che inquadriamo Veronica?” 

 Giovanni un po’ in ritardo e con un ansia che cresceva sempre più rispose: 

“No, no”. 

 … 

Cosa?? 

 Che cosa aveva detto? No no?? Come “no, no”? Gli aveva chiesto se preferisse Veronica a lui, Magalli. Cioè una bella donna, mora, abbronzata, maggiorata, nel fiore della giovinezza…a un ometto calvo e con la pancia. 

E aveva risposto “No, no”??  

Sentì la vergogna bruciargli dentro. 

Era investito da un nuovo flusso violento di energia che gli faceva battere il cuore a mille. Sudavano le mani e la fronte. 

Scoppiò definitivo il panico. 

 Dall’altra parte della cornetta Magalli continuava a parlare. Lo sentì dire distintamente: 

“Preferisce me a Veronica? Ci dovremmo conoscere, lei ha del coraggio, e a me piacciono gli uomini coraggiosi”. 

Probabilmente quel malefico piccoletto aveva anche ammiccato mentre lo diceva, ma Giovanni non se ne era accorto, perché guardava perso un punto fisso sulla cornice della TV. 

Si sentiva deriso, denigrato, umiliato nel profondo. 

Un tranquillo pranzo si era trasformato in una tragedia. 

Esagerava? Chi lo sa. 

Forse un dejà vu. Un drammatico dejà vu, che si era presentato alla sua testa e ai suoi pensieri, come un vetro opaco alla vista. 

“..Sig. Macellari…?..C’è? Mi sente?..Sig.Macellari? Sig. Macellaaarii?” 

  

Giovanni a quel punto, completamente in panico e incapace di ragionare, trovò, quasi come dettato da un istinto innato di sopravvivenza, le ultime forze rimaste per rompere l’immobilità in cui era caduto.. 

… 

e mettere giù la cornetta. 

BUM

pirata di cera
Era una giornata senza sole, fredda e umida. La stanza semibuia illuminata dalla luce dei computer e da una al neon che stordiva se possibile, ancora di più del tremolio degli schermi.

Giovanni stava ormai da un ora e mezza, tenendo a stento gli occhi aperti. E Il professore non accennava a smettere. Vicino a lui,..c’era lei. Per anni le passava accanto nei corridoi della scuola, e spesso i loro sguardi si incrociavano. Una possibile attrazione c’era, reciproca, ma lui non aveva mai fatto la prima mossa, E non si sentiva in grado di farla. Erano passati anni, e sempre la guardava, ottenendo , sempre, un occhiata di risposta. Era quasi nato un rapporto basato solo su quel non parlare, su quel flirtare con gli occhi.  Certo romantico, ma poco pratico. Era come se ogni volta che si vedevano, entrambi si cercassero per accertarsi che l’altro era ancora interessato a lui, a lei. Ma nessuno prendeva mai l’iniziativa. In realtà Giovanni, sapeva, lo sapeva, se lo sentiva che doveva fare lui il primo passo. Lo percepiva come un obbligo maschile, ma gli si era inceppato qualcosa, in quei meccanismi naturali che fanno l’uomo cacciatore e la donna preda. Era un ragazzo introverso e pieno di vergogna. Viveva come se camminasse sempre sulle punte, per non fare rumore, per non farsi notare. Finalmente, mentre la testa gli stava scivolando dalle mani, semilibera dal peso che ha la ragione quando è sveglia, ormai in uno stato di presonno, Giovanni sentì: “pausa” Si svegliò di soprassalto, si girò e vide che Lei lo stava guardando e sorrideva. “ Proprio non  ce la facevo più” disse lui “ A chi lo dici, io mi sono svegliata 5 minuti fa” disse lei E risero, complici in quel comune sentire. Nel piano dei laboratori, ormai da qualche giorno lo staff dell’università aveva installato una barriera dalla quale si poteva passare solo se muniti di tesserina universitaria. Un passaggio centrale compreso tra due sbarre di ferro orizzontali attaccate al muro. “Io mi riduco sempre così, i primi venti minuti seguo le frasi che dice, poi mi accorgo che sto pensando ad altro, e alla fine testa che pressa i tasti della tastiera e qualche buona anima che a volte mi sveglia, picchiettandomi sulla spalla” Stava andando bene. “eh eh per impedirmi di russare…o di rovinare la tastiera”  Bravo. Si misero a ridere, insieme, in sintonia, naturalmente in sintonia. “Già, ti capisco” concesse lei.  “…Io io ti vedo sempre nei corridoi della scuola, ma non ci siamo mai presentati, mi chiamo Gianni, Giovanni, Tu?” Disse questo porgendo la mano “Manuela.” Rispose lei. Mentre parlavano si erano avvicinati alla barra di passaggio. Lei: Tessera, Barra che si fa da parte. E passò. Rallentò, con la testa girata verso Giovanni, facendogli capire che lo voleva aspettare. Giovanni frugò nel portafoglio. ‘oh cazzo’ Pensò. “Penso di avere dimenticato la tessera” disse. “Ho dimenticato la tessera cazzo” Tornò a pensare La ragazza disse “Io vado al bar a prendere un caffè così mi sveglio un po” sorridendo.  E si avviò. “Oohh” a bassa voce sconsolato. Giovanni si fermò continuando a guardare confuso il portafoglio. Faceva succedere dei movimenti  automatici in una sequenza fissa. Era nervoso, andava di fretta e non voleva perdere l’occasione di continuare a parlare con lei. Controllava prima la tasca laterale, le fessure per le carte di credito, e la cerniera esterna. Una dopo l’altra le controllava tutte a ripetizione. Era come una automa, come uno di quei robot da catena di produzione.  Tasca, fessura, cerniera. Tasca, fessura cerniera. ‘Va bè scavalco’ pensò. ‘Oplà.aaaaa.’ disse. BUM Un tonfo forte e sordo, che fece girare tutti. Lei compresa.   Stavano scendendo le scale quando Giovanni con un salto repentino e veloce, portando tutto il peso del corpo sopra la sbarra, 80 kili, si proiettava dall’altra parte. La sbarra cedette, e come l’unico testimone disse più tardi alle folle incuriosite,.. che si creavano lungo il corridoio, e a mucchietti, Giovanni cadde improvvisamente e trionfalmente per terra. Sia ben chiaro non per il peso, era la sbarra che era messa male. Giovanni si alzò. “Andate avanti, andate avanti” pensava. “Ei tutto bene?”  “oc cazzo”, pensò riconoscendo la voce di Manuela. “ Si, tutto bene, tranquilla” Era diventato tutto rosso in volto, sudava e non riusciva a guardare negli occhi nessuno. “Ma cos’ha fatto?”  si sentiva. “Ma cosa ho fatto.” Pensava. “Ei cos’ha fatto?” “Michi, cos’è successo?” “Io non ho visto” “Neanch’io, stavo scendendo le scale” “Io pure” “Ha tentato di scavalcare?” “Ha tentato di scavalcare” Quelle voci gli arrivavano lontane come a centinaia di metri distanti e invece erano tutti lì che lo circondavano a più o meno due o tre passi. Si scusò mortificato con il guardiano di laboratorio, che nel frattempo era sopraggiunto attratto dalle risa e dal vociare nel corridoio. Prese il solito caffè, e tornò in aula. Passò le restanti due ore, in un suo mondo personale e lontano. Forse pensava che un domani avrebbe potuto riderci su.