IL PESCE SULL’ALBERO (L’ALTRA PARTE DEL TAO)

Sbattere il culo per terra deve avere senso. Perché mi pare l’unico modo di sentirlo parte del corpo.

Come sempre, quando mi succede, mi ritrovo ad avere in tasca l’ispirazione per scrivere due righe. In sottofondo musica di tango – “No me toquen ese vals” –  e una deliziosa alba fuori dalla finestra .

Ho la solita sensazione di averla già vissuta ‘sta vita; in lotta per afferrare il senso e dipingerlo su una pagina bianca. Correre e inchinarmici e vederlo sfuggire una volta in più, all’ultimo momento. Riuscirò mai ad esaudire il vero senso di questo mio viaggio?

Chissà se la morte è l’unico arrivo o se non esista qualcosa per raggiungere davvero la quiete.

E da tanto che vorrei vivere uno di quei giorni in cui tutto è chiaro.

Mi sembra sempre di essere dalla parte opposta: nel puntino del colore opposto nelle metà del tao. Nel bianco vedo il nero, nel nero vedo il bianco. Lo desidero, faccio di tutto per raggiungerlo, ma una volta raggiunto, una forza invincibile mi getta istantaneamente nell’unico punto del colore opposto.

Dunque di nuovo in minoranza, persino con me stesso.

Nella vita ciò che più importa, capisco che è la narrazione, ovvero, parafrasando Gandhi: non tanto essere nella tempesta quanto saperla danzare bene. E dunque, tutto ciò che di brutto ci accade e, soprattutto, che c’è in noi, può essere sempre ben narrato e più che evitare il male sarebbe necessario sapere avvicinarsi a tutti quelli che ti sanno leggere e soprattutto narrare bene.

D’altronde se si considera un pesce per la sua abilità di arrampicarsi su un albero risulterà sempre inadeguato, diceva uno che è passato alla storia perché faceva le linguacce – o per qualcosa del genere.

Sebbene, mi rimanga il dubbio perché mai, io in quanto pesce, mi  ritrovi di tanto in tanto su un albero,

mi rendo conto che a volte occorre fare fagotto e rimettersi in marcia…

verso l’altra parte del Tao.