BUM

pirata di cera
Era una giornata senza sole, fredda e umida. La stanza semibuia illuminata dalla luce dei computer e da una al neon che stordiva se possibile, ancora di più del tremolio degli schermi.

Giovanni stava ormai da un ora e mezza, tenendo a stento gli occhi aperti. E Il professore non accennava a smettere. Vicino a lui,..c’era lei. Per anni le passava accanto nei corridoi della scuola, e spesso i loro sguardi si incrociavano. Una possibile attrazione c’era, reciproca, ma lui non aveva mai fatto la prima mossa, E non si sentiva in grado di farla. Erano passati anni, e sempre la guardava, ottenendo , sempre, un occhiata di risposta. Era quasi nato un rapporto basato solo su quel non parlare, su quel flirtare con gli occhi.  Certo romantico, ma poco pratico. Era come se ogni volta che si vedevano, entrambi si cercassero per accertarsi che l’altro era ancora interessato a lui, a lei. Ma nessuno prendeva mai l’iniziativa. In realtà Giovanni, sapeva, lo sapeva, se lo sentiva che doveva fare lui il primo passo. Lo percepiva come un obbligo maschile, ma gli si era inceppato qualcosa, in quei meccanismi naturali che fanno l’uomo cacciatore e la donna preda. Era un ragazzo introverso e pieno di vergogna. Viveva come se camminasse sempre sulle punte, per non fare rumore, per non farsi notare. Finalmente, mentre la testa gli stava scivolando dalle mani, semilibera dal peso che ha la ragione quando è sveglia, ormai in uno stato di presonno, Giovanni sentì: “pausa” Si svegliò di soprassalto, si girò e vide che Lei lo stava guardando e sorrideva. “ Proprio non  ce la facevo più” disse lui “ A chi lo dici, io mi sono svegliata 5 minuti fa” disse lei E risero, complici in quel comune sentire. Nel piano dei laboratori, ormai da qualche giorno lo staff dell’università aveva installato una barriera dalla quale si poteva passare solo se muniti di tesserina universitaria. Un passaggio centrale compreso tra due sbarre di ferro orizzontali attaccate al muro. “Io mi riduco sempre così, i primi venti minuti seguo le frasi che dice, poi mi accorgo che sto pensando ad altro, e alla fine testa che pressa i tasti della tastiera e qualche buona anima che a volte mi sveglia, picchiettandomi sulla spalla” Stava andando bene. “eh eh per impedirmi di russare…o di rovinare la tastiera”  Bravo. Si misero a ridere, insieme, in sintonia, naturalmente in sintonia. “Già, ti capisco” concesse lei.  “…Io io ti vedo sempre nei corridoi della scuola, ma non ci siamo mai presentati, mi chiamo Gianni, Giovanni, Tu?” Disse questo porgendo la mano “Manuela.” Rispose lei. Mentre parlavano si erano avvicinati alla barra di passaggio. Lei: Tessera, Barra che si fa da parte. E passò. Rallentò, con la testa girata verso Giovanni, facendogli capire che lo voleva aspettare. Giovanni frugò nel portafoglio. ‘oh cazzo’ Pensò. “Penso di avere dimenticato la tessera” disse. “Ho dimenticato la tessera cazzo” Tornò a pensare La ragazza disse “Io vado al bar a prendere un caffè così mi sveglio un po” sorridendo.  E si avviò. “Oohh” a bassa voce sconsolato. Giovanni si fermò continuando a guardare confuso il portafoglio. Faceva succedere dei movimenti  automatici in una sequenza fissa. Era nervoso, andava di fretta e non voleva perdere l’occasione di continuare a parlare con lei. Controllava prima la tasca laterale, le fessure per le carte di credito, e la cerniera esterna. Una dopo l’altra le controllava tutte a ripetizione. Era come una automa, come uno di quei robot da catena di produzione.  Tasca, fessura, cerniera. Tasca, fessura cerniera. ‘Va bè scavalco’ pensò. ‘Oplà.aaaaa.’ disse. BUM Un tonfo forte e sordo, che fece girare tutti. Lei compresa.   Stavano scendendo le scale quando Giovanni con un salto repentino e veloce, portando tutto il peso del corpo sopra la sbarra, 80 kili, si proiettava dall’altra parte. La sbarra cedette, e come l’unico testimone disse più tardi alle folle incuriosite,.. che si creavano lungo il corridoio, e a mucchietti, Giovanni cadde improvvisamente e trionfalmente per terra. Sia ben chiaro non per il peso, era la sbarra che era messa male. Giovanni si alzò. “Andate avanti, andate avanti” pensava. “Ei tutto bene?”  “oc cazzo”, pensò riconoscendo la voce di Manuela. “ Si, tutto bene, tranquilla” Era diventato tutto rosso in volto, sudava e non riusciva a guardare negli occhi nessuno. “Ma cos’ha fatto?”  si sentiva. “Ma cosa ho fatto.” Pensava. “Ei cos’ha fatto?” “Michi, cos’è successo?” “Io non ho visto” “Neanch’io, stavo scendendo le scale” “Io pure” “Ha tentato di scavalcare?” “Ha tentato di scavalcare” Quelle voci gli arrivavano lontane come a centinaia di metri distanti e invece erano tutti lì che lo circondavano a più o meno due o tre passi. Si scusò mortificato con il guardiano di laboratorio, che nel frattempo era sopraggiunto attratto dalle risa e dal vociare nel corridoio. Prese il solito caffè, e tornò in aula. Passò le restanti due ore, in un suo mondo personale e lontano. Forse pensava che un domani avrebbe potuto riderci su.