Mai avrei pensato di correggere un articolo [1] scritto nel giro di un paio d’ore. Il motivo è che la ricerca a cui si riferiva il precedente articolo risale al 2016 e sembrerebbe che negli Stati Uniti ci siano già le prime applicazioni e alcuni programmi che combinano sistemi avanzati di rendering video e sintetizzazione vocale sono già usati per creare falsi. (Il ritardo dell’Italia sul resto del mondo è caratteristico). Questi fenomeni si chiamano deepfake e si stanno diffondendo in rete soprattutto per fare satira politica o far dire cose inusuali a personaggi famosi. Attenzione ai deepfake!
Oggi, evado dall’usuale tono letterario di questo blog e pubblico un pezzo più giornalistico. L’obiettivo di questo spazio del web è sempre stata quello di promuovere visioni e informazione non propriamente appartenenti alla campana gaussiana e in questo articolo parlerò di un trend d’avanguardia per l’Italia, ma che in realtà si tratta di attualità nel resto del mondo. L’idea è quella di dare uno strumento in più al popolo del web per trattare con il cambiamento. L’articolo si chiama infatti I mille volti del cambiamento 🙂
Studiare il fenomeno della cosiddetta trasformazione digitale [1] in tutti i suoi aspetti diventa sempre di più una necessità per comprendere la nuova società globale.
Ad esempio, uno non avrebbe mai e poi mai immaginato all’eventualità che di fronte ad un video con una faccia conosciuta e una voce completamente identica potesse trovarsi comunque di fronte ad un falso. Navigando su Internet in futuro ci si potrebbe imbattere in video di personalità pubbliche che dicono cose, nella migliore delle ipotesi, stravaganti, e che in realtà altro non sono che puppets con fattezze assolutamente reali costruite al computer.
Un programma video basato sull’intelligenza artificiale (AI) è stato sviluppato dai ricercatori dell’Università di Stanford ed è in grado di farlo.
Si tratta di uno strumento, ancora non commerciale, tanto affascinante quanto pericoloso e fa pensare a quanto incredibilmente veloce sia diventato il passo del cambiamento.
Il rischio di trovarsi un domani involontariamente nella posizione di un primitivo che guarda un areo e non comprende, non solo cosa sia, ma neppure come possa mai essere intellettualmente possibile, diventa un rischio concreto!
Qualsiasi saranno gli sviluppi (inimmaginabili) nel prossimo futuro vien da pensare che fare circolare conoscenza ed educare al pensiero critico diventino leve sociale imprescindibili per un paese che vuole stare al passo coi tempi e con i trend internazionali.
La “Rete dei Piglianciulo” non è uno scritto pessimistico, anzi con un linguaggio letterario descrive l’unico realistico strumento di rivoluzione: La rivoluzione individuale.
La rivoluzione si fa con uomini realisti, che non si credono immuni alla pressione del potere, del conformismo, della persuasione di massa, ma assumono consapevolezza che quello in cui viviamo oggi, è un mondo sociale complesso. Uomini che comprendono che i confezionati santi, eroi, geni, leader che risolveranno tutto, sono illusioni di massa per sollecitare un pensiero infantile fatto di nero e bianco. Diffondere una cultura di santi ed eroi serve solo a rendere uomini più docili e distoglierli dall’abitudine a lottare per i loro obiettivi, personali e realistici. Il che, fa male agli uomini e al sistema stesso: è controproducente. Combattere per i propri sogni, rispettare l’onestà e la verità come valori guida del vivere collettivo, è la propria rivoluzione personale e si inserisce in una creazione di valore collettiva. Gli Uomini che hanno costruito i loro sogni, e che non hanno optato per un falso Sé cinico e disilluso, creano una rete sociale migliore.
La rivoluzione non passa da grosse azioni, ma dal rispetto fermo del proprio punto di vista, con colpi di coda nel quotidiano.
Ogni giorno ci sono occasioni per dire facili “Sì” oppure reggersi sui dati di fatto, e rispondere: “Capisco, ma il dato oggettivo è “questo” ed ho il dovere verso me stesso di mantenere la mia posizione”. Si può fare saltare il tavolo con fermezza ma con gentilezza. Se ci fossero tanti Uomini che valorizzano il loro lavoro facendolo con responsabilità, il fare saltare il tavolo sarebbe un’azione sempre più rara.
Tuttavia non esistono Uomini e Piglianculo tout court. Pensarlo ci fa cadere nella categoria illusoria degli eroi e santi e fa leva su un funzionamento di pensiero infantile e magico – tutto nero o tutto bianco – che ci solleva dalle nostre responsabilità e ci illude che i risultati si raggiungano senza fare fatica. Non ci sarà mai qualcuno che bombarderà e risolverà i nostri problemi di persone conformiste, senza sogni, senza fermezza nel mettersi in viaggio per raggiungerli. La “rete dei piglianculo” siamo tutti noi quando la società ci avvilisce e ci induce a soccombere al potere del conformismo, così come siamo tutti noi a creare una rete di Uomini, quando invece scegliamo la verità e il rispetto dei dati di fatto. E’ chiaro che dobbiamo “andare contro a volte l’insegnante” se siamo gli alunni, o “contro la nostra autorità”, se siamo noi gli insegnanti [2]; infatti, anche le persone in posizioni decisionali, fanno la loro rivoluzione, quanto quelli che non lo sono.
“Fa male, ma è la verità”. Disse una volta un capo di stato. Avere il coraggio di riconoscere il dato di fatto piuttosto che cedere alla tentazione di spiegare con “eroi e streghe” crea un riverbero enorme quando chi lo esercita è in una posizione di responsabilità. La rete degli Uomini che hanno fatto la propria rivoluzione personale crea più beneficio della rete dei piglianculo.
Siamo tutti connessi. Da banali, piccole, ma concrete rivoluzioni individuali.
Ognuno fa quello che può per combattere la Rete dei Piglianculo, ognuno a suo modo, suo stile e su diversi livelli. Siamo persone che agiscono nella realtà fisica e non culturale. Oltre l’ideologia, cerchiamo di non compromettere la nostra obbiettività nella quotidianità. Dobbiamo pagare l’affitto, le bollette di casa, fare la spesa, relazionarci con il potere, sentire le pressioni del conformismo, cercare di seguire i nostri sogni e nello stesso tempo fare i conti con vincoli e limiti.
Ognuno ha diritto di perseguire la propria felicità, costruire la propria monade di benessere personale, ma se queste venissero create su valori di giustizia e verità si creerebbe una società di persone serene, oneste, connesse dal rispetto dei dati di fatto. Mentre chi esperimenta il bastone punitivo dei Piglianculo, perderà il senso del vero e proverà frustrazione. Diventerà una persona arrabbiata, delusa, disillusa facilmente orientata ad accettare lo storico analgesico usato da una cultura del potere, del “Panem et circenses” [3].
Il riconoscimento dei dati di fatto è l’unico antidoto alle fantasie e le supercazzole dei Piglianculo, che alimentano un clima magico e surreale in cui funziona chi è acquiesciente con il potere e non chi sa e chi sa fare.
Si aggiunga, che quando ci si lega a livello pratico con la rete dei Piglianculo, poi viene da se un fenomeno che in Psicologia Sociale si chiama autogiustificazione. Una scoperta concettuale epocale fatta da un eminente psicologo americano, Leon Festinger [4].
Brevemente, questo fenomeno è basato e spiegato da un altro fenomeno chiamato dissonanza cognitiva, secondo la quale quando ci si trova in conflitto tra ciò che si fa e ciò che si crede, o si cambia ciò che si fa, o quello che in cui si crede (autogiustificazione).
In altre parole: o fai lo scatto di reni o cambi il sistema di pensiero. Perché le azioni hanno effetto sul sistema di valori.
E’ importante allora agire nella propria vita, facendo piccole azioni, piccole prese di posizione verso la dignità e la verità, che si traducono a livello sociale in onestà e rispetto dei dati di fatto. Ad esempio, se coloro che hanno messo una tavola di legno come rappezzamento del binario su cui è deragliato il treno di Trenord a Pioltello [5], lo scorso 25 gennaio, nella tratta Cremona-Milano – fossero stati Uomini educati alla verità e alla dignità – e non persone programmate all’acquiescienza e rispetto degli ordini – sarebbe uscita una voce ferma che ribadiva l’esigenza reale e basata su un dato di fatto – che quel metodo di manutenzione fosse insensato, inefficace e pericolosissimo – si sarebbero salvato altre vite.
La salvaguardia del proprio benessere non deve essere raggiunta con chiusura alla realtà e a scapito degli altri. Il problema è vedere la connessione, educare a riconoscere questa connessione tra sé e gli altri, che a mio avviso è il massimo valore civico. Ma qui inizia un’altro argomento che forse ha più a che fare con la rivoluzione politica che culturale.
La situazione è complessa. Ma ognuno, nelle dinamiche della propria vita può fare piccole svolte. Votare con memoria storica, ricordando ad esempio, chi ha votato per interessi di pochi e contro il popolo è un inizio.
Avere l’onestà di “dire pane al pane vino al vino” è qualcosa che possono fare tutti. Molti abbassano e hanno abbassato la testa non perché tengono famiglia, ma per fare carriera. Per ingordigia, per avere di più, per realizzare sogni, indotti. Questo è una motivazione diversa dei vincoli operativi.
Sono convinto che se la maggioranza ha scelto di non buttare all’aria il tavolo, non è successo per caso: i modelli di comportamento popolari sono stati indotti con precisione. I filmettiall’italiana, mentre molti ci ridevano su, hanno fatto cultura, comunicazione-persuasione di massa, programmazione dei comportamenti. Li hanno programmati gli italiani. Attraverso una propaganda culturale di massa orientata al marciume (cit. Monicelli [6]). Ma non è giovato a nessuno.
Gli Uomini che rappresentavano un altro modello civico, che non hanno chinato il capo, hanno fatto una brutta fine (es. Falcone, Borsellino…). Sono diventati Eroi per gli italiani che si sono messi l’anima in pace e hanno smesso di perseguire nella propria quotidianità, onestà, integrità, etica. “Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi” [7].
Il credo e l’anima te li possono toccare eccome: modificando il comportamento si induce a modificare anche il credo (le credenze). E’ un meccanismo comprovato da svariate ricerche in Psicologia Sociale.
Comunque, tanto rispetto per chi viene prima di me, sono miei fratelli italiani, so che è stato difficile essere italiano in questi ultimi decenni, tuttavia il ruolo dei giovani è proprio quello di riportare obiettività e dare una svegliata. “Primum vivere deinde filosofari”, è un suggerimento che mi diede un maestro italiano anni fa a freno della tendenza a pensare piuttosto che agire. Lo tengo con gratitudine sempre ben a mente. Ma se vivere è indebitarsi per fare la crociera perché è di moda, andare a vedere i cine panettoni comandati, indossare il pinocchietto, andare in discoteca etc. perchè sono tutti modelli indotti, attenzione che come si declina il “vivere” parte da come si è fatto il “filosofari”, sia che lo abbiamo fatto noi o che ce lo abbiano indotto nelle menti.
Bisogna che gli italiani si riscoprino eredi di quegli Uomini che una volta facevano l’Italia: Galileo, Manzoni, Boccaccio, Casanova, Golgi, Guareschi, Sciascia, i nostri padri, i nostri nonni… Almirante, Olivetti, Monicelli…
Mi sforzerò di nascondere l’anarchico che è in me per risultare più leggibile in questo pezzo. Vorrei che arrivasse al maggior numero di persone possibile e mi han detto che alcune verità vanno date per gradi, non bruscamente. Il rischio è quello di diventare oggetto di cieca negazione. L’anarchico che è in me è sempre un pò brusco quando si esprime, ma io lo perdono, perché è da anni costretto a nascondersi tra solidità di pensiero assicurate solo da un conformismo facile. Ecco, l’ho rifatto, sono stato brusco. Quando un appartenente ad una minoranza si rende conto di poter condividere con la maggioranza un dato di fatto, diventa un pò rabbioso. Quello che voglio dire è che creare una vita sulla base di una vera identità è difficile. Spesso si cede a ogni sorta di sogni di seconda mano e senza rendersene conto, ci si ritrova a propria insaputa, persuasi a ricevere e diffondere una fede fatta di facili sillogismi. “Sono ribelle…ho comprato questo Suv”, “Valgo…quindi bevo questo amaro”. L’anarchico invece è uno che non rinuncia alla vera identità. E questa, non esistendo che in un continuo divenire con la realtà, fa si che l’anarchico sia un perenne insicuro. Uno però che ha capito di scegliere solo quando si zittiscono tutti quelli cui alla verità danno un prezzo. Ha capito che spesso, metaforicamente, chi vende, non vende ciò che ha prodotto. Che i venditori sono sicuri e i produttori insicuri; gli uni non conoscono fino in fondo il prodotto che gli è capitato in mano, mentre i secondi prostrati dai tanti tentativi per raggiungere la migliore versione saranno sempre in dubbio su qualche caratteristica che non hanno potuto raggiungere. Questo non è assolutamente un problema ontologico, ed è giusto vi siano diversi tipi di Uomo, tuttavia è un problema quando la Cosa Pubblica viene amministrata non tenendo conto della differenza fondamentale che esiste tra: Sicuri Incompetenti e Insicuri competenti.
MONOLOGO DELL’INSICUREZZA
Son cambiate tante cose da che ho iniziato a scrivere. Ho ripercorso più e più volte diverse fasi cicliche. Sono stata in diverse città e in tutte queste esperienze ho conosciuto un pezzo di me stessa; ho capito in fin dei conti che io non parlo, ma narro. Non affermo, eppure comprendo. D’altro canto non insegnerò mai a nessuno se non di vivere a modo proprio. Mai accetterò il ruolo di maestra se non dalla vita, e senza saperlo. Insegnerò che chi si sostituisce a te stesso è uno sbruffone.
Se mi ascolterete vi insegnerò di diffidare da chi vi viene a vendere una poesia e non ve la regala. Vi spingerò ad allontanare chi non vi allontana quando lo chiamate maestro. Vi suggerirò di scappare da chi impara due trucchetti e fa spettacoli in cui racconta quante ne ha passate, quanto è stato forte. Chi vi narra le sue disgrazie, le pubblicizza, per poi incensare i suoi successi. Probabilmente ne ha viste un terzo di quelle che ne avete viste voi o i vostri umili genitori.
Presto realizzerete che un ulteriore sforzo per produrre un santo gral in più, produrrebbe solo ulteriore caos. Questa grande macchina che crea prodotti per consolare la tristezza, è la prima fonte di questa tristezza. Certo camminare intellettualmente è difficile. Emotivamente lo è ancora di più. Rimanere se stessi. Diventare se stessi. E nel frattempo vivere nel proprio quotidiano, a dire di molti, impossibile. Eppure, fidatevi di me.
C’è stato un tempo in cui siamo diventate umani. Abbiamo distribuito le nostre virtù e capito di voi uomini tante cose.
Non siete affatto uguali. Non parlate la stessa lingua pur parlandola. Non avete la stessa origine né la stessa destinazione. Eppure potreste vivere in armonia.
La mia storia, come quella di molte come me, nasce perché volevamo leggere un libro. Un libro che nessuno ha mai scritto. Siamo usciti da questa piana per cercarlo, siamo stati ospiti della vostra terra. Siamo stati viaggiatori. Ci è venuta voglia di scriverlo quel libro, in silenzio. Così abbiamo ispirato tante menti e mosso tante mani.
Cari figli, fidatevi solo di chi scrive, di chi è confuso quando parla. Perché il suo cuore è ricco e la sua intelligenza è piena. Non leggete i libri di chi è lineare, senza possibilità di errore. Non dategli la vostra macchina, né una nave, ma soprattutto non dategli il vostro Paese. Comprendete che è importante pensare e ancor di più agire. Pensate, per essere solidi nelle vostre azioni e fedeli a voi stessi nel cambiamento. Un giorno su sette soffermatevi a filosofare per comprendere chi siete, da dove venite e cosa avete fatto. Agite sei giorni su sette.
C’è una vita da portare avanti, perché è così che deve andare. Cambiare è difficile. Voi la chiamate inerzia. Quello che chiamate lavoro ai nostri occhi è sempre il solito grooming. Ancora come allora, siete scimmie che brandiscono un bastoncino e stupiscono le altre con il fuoco. Quando mammiferi inventano un paio d’ali, ne vendono le piume, osannandole, incensandole. Quando volatili cambiano le proprie, le regalano, magari criticandole.
Ripropongo questo mio scritto del 2010 che modifico in una versione meno letteraria e più “civilmente attiva”. Faccio seguire qui di seguito alcune integrazioni:
1. La “Rete dei Piglianciulo” https://literaryport.com/2017/09/20/la-rete-dei-piglianculo-2/ non è uno scritto pessimistico, una resa malinconica ad un realismo disincantato e cinico, ma piuttosto una presa di coscienza che, con un linguaggio letterario, descrive l’unico realistico strumento di rivoluzione: quella individuale.
2. REALISMO. La rivoluzione si fa con uomini realisti, che non si credono immuni alla pressione del potere, del conformismo, della persuasione di massa, ma assumono consapevolezza degli strumenti di cui dispongono. Uomini che comprendono che i confezionati santi, eroi, geni, capi a cui è affidato il destino del paese, sono illusioni di massa per sollecitare un pensiero infantile fatto di nero e bianco. Gli Uomini che hanno costruito i loro sogni, e che non hanno ceduto ad un falso Sé cinico e disilluso, creano una rete sociale migliore. La “rete dei piglianculo” siamo tutti noi quando la società ci avvilisce e ci induce a soccombere al potere del conformismo, così come siamo tutti noi a creare una rete di Uomini, quando invece scegliamo la verità e il rispetto dei dati di fatto. E’ chiaro che dobbiamo “andare contro a volte l’insegnante” se siamo gli alunni, o “contro la nostra autorità”, se siamo noi gli insegnanti: anche le persone in posizioni decisionali, fanno la loro rivoluzione, quanto quelli che non lo sono. Avere il coraggio di riconoscere il dato di fatto piuttosto che cedere alla tentazione di spiegare con “eroi e streghe” crea un riverbero enorme quando chi lo esercita è in una posizione di responsabilità. La rete degli Uomini che hanno fatto la propria rivoluzione personale crea più beneficio della rete dei piglianculo.
3. COMUNITA’. Siamo tutti connessi. Qualsiasi sia la nostra cultura, la nostra posizione politica, o il nostro lavoro. Funzioneremo come comunità quando capiremo che non occorrono bombardamenti, azioni violente, marce, ma banali, piccoli gesti di onestà e concrete rivoluzioni individuali.
Detto tutto questo, la mia nuova versione della “Rete dei Piglianculo” indica che una rivoluzione civile è possibile e passa da una rivoluzione individuale. Qui ne suggerisco una, semplice, bistrattata, in declino ma potentissima…
“Per saper cos’è l’amore devi aver cantato e pianto Nelle lacrime e nel canto c’è la storia di ogni cuore…”. Ascoltando Carlo Buti… ho una idea, una percezione: c’erano tempi in cui l’individualità produceva cultura… quei tempi mi insegnano che il genio non è di uno solo ma può essere coltivato da tutti. Esistono istanti in cui Dio si manifesta e ci rende grandi e forti , inamovibili dalle leve del potere. Ci sono istanti in cui capisci che un conto è lo spirito, un altro è la razionalità. Un conto è l’individualità un altro è il riconoscimento sociale. un conto è la forza un altro è il potere. Un conto è il talento, un altro è la carriera. Un conto è il genio, un altro è la fama. Un conto è l’Uomo, un altro è il piglianculo.
La rete dei piglianculo
Quando lo prendi in culo, io so solo che è una brutta sensazione. Che non voglio provare. Ma colui che me lo mette nel culo oggi dice di averla presa nel culo a sua volta quando aveva la mia età. E chi la mette nel culo a me oggi, è chi l’ha presa nel culo alla mia età da chi probabilmente alla mia età l’ha presa nel culo. … Perché, si dice, che se la prendi nel culo alla mia età la potrai mettere nel culo quando avrai l’età di chi te la mette nel culo ora. Si forma la rete e così le cose vanno avanti. C’è una massima popolare che mi ha insegnato mio Zio: “se sei martello batti, se sei incudine statti”. Funziona perciò così. Solo che succede tutto in modo più dinamico e protratto nel tempo, nella storia. E’ uno spirito della società che scivola di generazione in generazione. C’è un periodo in cui sei incudine, se ti fai battere con pazienza poi nel tempo potrai avere la possibilità di diventare martello e allora sarai tu a battere. Ma di diventare martello nel tempo, per carriera, per anzianità, nessuno te lo assicura. Potrebbe restarti il dolore di essere stato battuto senza però mai raggiungere il tempo in cui sarai tu a battere. Qui un’altra massima popolare mi aiuta ad esprimere il concetto: “Col culo rotto e senza cerasa”. Ma allora, qui la mia conclusione: perché dovrei battere gli altri? E soprattutto, perché dovrei rischiare la beffa per me inaccettabile, dell’avere il culo rotto e senza cerasa? Dico subito che se anche tu, caro lettore, ti stai facendo questa domanda sarai tra quelli che non sarà mai un leader di questa rete.
Questo sistema dell’incudine e del martello è il paradigma sociale su cui si costruisce tutta la rete dei piglianculo. E chi è nella rete, capo della rete dei piglianculo, fa scouting naturale; per colpo di fulmine inconscio, quasi magico. Quando incontra il suo simile se ne accorge, lo bastona, quasi con affetto , esercita il suo potere contro logica e giustizia e ne prova la fedeltà assoluta. Fedeltà alla posizione di superiorità, mai alla logica o alla dignità. Non è scritto, non è detto, ma è quasi immediato capire chi è adatto ad entrare nella rete, per chi c’è dentro. Chi ha la stoffa del piglianculo, lo capiscono inequivocabilmente. Procedono a metterla in culo in serie, con una doppia funzione, addomesticare ed eleggere. Addomesticare chi non è per natura portato a comprendere la logica che chi è superiore fa e indirizza a suo piacimento, ed eleggere, come dicevo, chi invece per natura è portato a prenderla in culo senza fare tante tragedie. Si fa scouting dei prossimi capidi questa speciale rete. E dipende tutto dalla prima sfiorata. Primo sfoggio di potere, prima reazione. C’è chi accetta ed è in prima linea, il piglianculo capo , chi accetta e va in fila, il piglianculo di massa, e chi sbrocca, da di matto e si scaglia contro il potente: l’Uomo. Ecco quest’ultimo è uno come me, che si troverà sempre a scrivere pressappoco pensieri di questo tipo, Il primo invece farà carriera e rispetterà sempre e soltanto il potere. Riderà probabilmente di scritti di questo tipo. Ed anche tu, che credi di capirmi, probabilmente o prima o poi ti renderai conto di essere un piglianculo. Una parte della rete. Solo se sei giovane capirai veramente questi scritti, se sei adolescente.. ..finché sarai tale, perché poi crescerai e sarai con molta probabilità un piglianculo di massa. Pochi saranno capi, e pochissimi, Uomini. I piglianculo di massa, saranno da sempre combattuti tra il dolore e lo spirito. Tra il calcio in culo e l’ispirazione. Potrebbe darsi che ci sia un tempo dei piglianculo e uno degli Uomini. Non vorrei scomodare Cristo e Pilato, (se non ti risuona nulla, caro lettore, ti dico Socrate e Meleto), ma è da sempre così: l’Uomo esalta, ispira, il piglianculo, affossa, equilibra. Uno sobilla, l’altro calma. Gli Uomini cercano sempre di creare reti di Uomini, e i piglianculo le reti di piaglianculo. Chi vince da sempre lo decide il caro e puro piglianculo di massa.
Democrazia o Folla.
Questo, è solo uno scritto, un anfratto della realtà, in cui l’Uomo che è in me si ferma a prendere le sue sembianze su un foglio bianco.
Ma ora, qui, in questa cabina elettorale
l’eterna lotta per non essere inghiottito nella rete dei piglianculo si condensa in questo piccolo gesto.
Mi pulisco le lenti. Questo per me è meditare: tornare a vedere chiaro. Riafferrare la propria visione sulle cose, riconoscere il suono della propria voce. Qualcosa che mi rende sereno.
La polvere che sollevo dalla mia anima durante la recitazione del mantra diventa un racconto di idee ben distinte che riesco a visualizzare sul foglio. Grano per grano riconosco concetti in una prospettiva personale che con un pò di sforzo in più, traggo in un senso di dimensione generale. Girovago, senza patria, mi rendo conto che le caratteristiche dell’ambiente storico e temporale continuano a dialogare con la volontà del singolo, affinché specifiche possibilità e tipici limiti forgino individui irripetibili. Eppure, dubito che gli uomini e le donne di quest’epoca ci tengano a sancire l’affrancamento dai trend ereditati dal passato, verso nuovi orizzonti di progresso.
Ho sempre avuto la forte consapevolezza di avere una voce mia sul mondo. Tuttavia, nel mondo, ho fin da subito percepito il pericolo di perderla. E quanto più apprezzavo la solitudine, più era facile ritrovarla. Eppure, non ho mai rinunciato a vivere attivamente cercando nell’integrazione degli opposti la chiave di lettura per vivere in un’equilibrata alternanza di partecipazione e analisi. Convinto che nella partecipazione giacesse il calore che mi fa sentire umano, mentre nell’analisi la libertà che mi fa sentire individuo.
Cani o Gatti, con la lettera maiuscola ad indicare categorie, ben distinte. Tendenze caratteriali chiare e distinguibili in posizioni agli antipodi, gregari e indipendenti, di branco e solitari. Eppure, a un certo punto ho realizzato che mai nessuna persona è veramente e totalmente come un “Cane”, né mai nessuno è totalmente come un “Gatto”, indipendentemente dalla sua tendenza naturale. La lettura realistica dell’integrazione degli opposti porta a rendersi conto che individui tendenzialmente portati all’affiliazione e naturalmente capaci di soddisfare questa tendenza, pur sempre conservano dentro di sé una profonda esigenza di unicità, identità originale e creativa espressione di sé; che, non naturalmente sono in grado di soddisfare. Il diventare adulti e non fermarsi a falsi sé, richiede uno sforzo, un lavoro attivo di completamento di una natura che è incompleta ma desiderosa. All’opposto, una persona con una tendenza naturale all’indipendenza e, naturalmente dotata di sufficienti mezzi per assolverla, d’altra parte possiede un senso profondo di appartenenza che tuttavia non è naturalmente in grado di soddisfare. Affinché non vagabondi consumatore sequenziale di nevrotico godimento deve lasciare spazio alla realizzazione del suo opposto. Sia l’uno che l’altro, il Cane o il Gatto, infatti riconoscono la bellezza della dote dell’altro, ma spesso “si guardano in cagnesco”, o “soffiano l’un l’altro”. Perché chi ha realizzato il senso di appartenenza ha spesso vissuto, in un momento della sua vita, che questa dovesse essere raggiunnta abdicando al proprio desiderio di indipendenza, e spesso riconosce avversando duramente l’altro che “gliela mostra” con tutta la forza della testimonianza di un’altra vita. Chi ha la libertà spesso giunge dal percorso opposto: una volta nella sua vita ha riconosciuto che dovesse sacrificare il calore per mantenersi nella verità di se stesso. Ha fatto questo rinunciando al senso di appartenenza, una delle componenti, equamente caratterizzanti la natura umana, ma nella sua tipologia di “Gatto” tendenzialmente meno vigorosa. Entrambi i percorsi portano ad una frustrazione e alienamento sofferenti. Come due elettroni che nel loro verso di rotazione avendo spin orari o antiorari, “vedono le stesse cose del mondo ma in una sequenza di immagini opposte”.
Forse, diventare grandi, crescere, diventare fedelmente se stessi, seguire la propria tendenza naturale per comprendere ciò di cui più manchiamo per essere veramente noi stessi – ciò che siamo in potenziale destinati ad essere – è proprio questo riconoscere di essere anche la minoranza dentro di noi. Girare in senso orario, poi in senso antiorario e viceversa, fino a vincere lo spin e creare un senso che che vada oltre esso. Rispondere a questa esigenza di minoranza, coltivando al meglio ciò che non ci viene naturalmente meglio con un desiderio vivo e tenace di diventare pienamente ciò che siamo nel percorso della nostra vita potrebbe essere la strada verso la vera realizzazione.
Qualcuno ha esagerato tuttavia con il panem et circenses ed oggi non si sentono più discorsi sulla ricerca della verità e della vocazione. La seduzione del potere fuorvia tutti, sia quelli che non lo raggiungono sia quelli che lo raggiungono. Eppure c’era un tempo in cui i giovani facevano a botte quando si sentivano dare del moccioso dai pantaloni corti e non vedevano l’ora di contribuire a risolvere i problemi della loro storia. Sognavano di diventare medici, scienziati, ingegneri per entrare a servizio del loro tempo. In quelle epoche il sapere non era parcellizzato e i campi del sapere trasversalmente visitabili così che non è raro leggere filosofi che erano anche matematici, medici competenti antropologi che viaggiavano per il mondo per conoscere da vicino le diverse civiltà. Non per ostentare souvenir, ma per crescere.
Il fatto di essere nati in occidente in quest’epoca storica vorrà dire sicuramente avere dei limiti, dei vincoli, un perimetro esistenziale, tipici e irripetibili. L’Occidente è una porzione di reale in cui femminile e maschile, trauma e memoria, sogno e dovere, solitudine e appartenenza, progetto e spontaneità, bene e male, potere e debolezza, vita e morte sono coppie di nemici violenti che frammentano le interpretazioni dell’individuo e e trasformano le civiltà in masse. L’uomo e la donna sono indirizzati in scissioni insalubri, e insaziabili si accontentano di scegliere cocktail consolatori che il ventunesimo secolo prepara loro in svariati gusti, confezioni e colori. La nostra sensazione infantile di onnipotenza è coccolata, ricercata e mai contraddetta, in continui ossequi alla nostra immaturità. Gli effetti del capitalismo si protraggono in una cultura che educa uomini e donne non a conoscere loro stessi e diventare la loro massima espressione, all’equilibrio e la pienezza, bensì dalla esigenza di essere efficienti elementi dell’ingranaggio economico, sociale, educativo, politco, scientifico.
Presto e chiaramente, scegliamo la tuta blu, il camice bianco, la camicia bianca, le stellette. Gli attestati e i titoli universitari sono totem a cui affidare la nostra identità. Un arrivo e porto sicuro, quasi mai rimesso in discussione. E ancora una volta lo spin originario non è mai stravolto.
Durante lo sviluppo, un individuo – di questo occidente, di questo tempo – sente chiara la tensione tra il suo dentro e il fuori, tirato tra desideri e richieste, individualità e aspettative. Sballottato in lotte continue tra Amore e Utile, Socialità e Individualità, conformismo e autentica espressione di sé, diventa seguace dell’una o dell’altro polo. Così si sceglie la casacca di musulmano, cristiano, buddista, ateo, ingegnere, psicologo, poeta o guerriero. Perdendo quasi subito l’infanzia e sottovalutando l’adolescenza, in virtù di ruoli adulti da ricoprire, estendiamo così il nostro vuoto fatto di indiscutibili certezze, fino alla cosiddetta età della maturità. Diventiamo anche noi famelici divoratori di personalità, divorati a nostra volta dalla rinuncia alla nostra vera personalità.
Diventati parziali, specializzati, ci mettiamo in fila vibranti e insaziabili per consumare quei prodotti che la cultura di questo tempo ci offre. E la macchina del tempo che doveva portarci lontano, ci ha inchiodato al punto di partenza. La produzione dei pezzi che servono per costruirla è diventata più importante di dove dovevamo andare. Ogni scelta è dominio del libero arbitrio in quanto uomini, ma nei nostri ruoli di costruttori di pezzi, è in realtà limitata in una fitta organizzazione onnipresente di persuasione e sudditanza al sapere, al potere. Se solo avessimo il coraggio di aver paura, rinunciare al tutto e smettere di correre sempre per fuggire da quella sensazione che una volta avevamo sentito che volevamo andare nella parte opposta. Se solo avessimo il coraggio, di smettere di spostarci per inerzia. Fermandoci, accettando la natura della dualità, da li riusciremmo a ripartire con una nuova prospettiva.
Il Panem et Circenses ha affollato la nostra cultura popolare così che non abbiamo più spazio per dialogare di queste cose. Non abbiamo più piacere di dialogare con gli uomini e le donne che hanno fatto la storia del progresso umano, per capire dove “andavano” e dove andiamo.
In seguito alla seconda guerra mondiale uno psicologo statunitense volle esperimentare l’influenza dell’autorità. Scoprì come indipendentemente dall’istruzione e dal mestiere, indistintamente, le persone tendano a seguire totalmente i comandamenti dell’autorità. Anche se questi vanno contro la volontà e la vita di un altro individuo. La cieca richiesta dell’autorità pressava e spingeva in virtù della necessità di una buona riuscita di qualcosa di ormai avviato e molto importante. Chi faceva le veci del professore, dell’autorità riconosciuta sottolineava l’impossibilità di sottrarsi all’esperimento una volta iniziato e questo richiamo era sufficiente per far passare in secondo piano il dolore e la volontà esplicità di un altro essere umano. Milgram, lo piscologo autore di questo esperimento, era di origine ebraiche ed era stato fortemente colpito dagli eventi dell’olocausto tanto che si era prefissato di cercare di capire come uomini comuni, con una proprià dignità potessero seguire ordini contro la dignità di altri uomini.
Nell’esperimento il sessantatre percento finì l’esperimento obbediendo totalmente all’autorità, il trentasette percento invece non lo fece. Condizioni sperimentali identiche, cosa è che cambiava ancora ad oggi non si riesce a capire.
Una volta accettato il gioco dei ruoli è difficile ricordarsi di essere altro oltre alle limitate possibilità del gioco stesso, e che soprattutto, siamo essere umani oltre le “persone” che indossiamo. E che in quanto essere umani abbiamo il diritto di scegliere, fare esperienza, lasciare e riprendere un nuovo cammino. Le delusioni e i fallimenti hanno da sempre costituito la fonte di uno scatto di reni che fin dai tempi della ruota han portato l’umanità a scoprire e progredire. Il consesso umano si è mosso così in un alternarsi di discese e risalite verso grandi gradi di consapevolezza e ancora, grandi fallimenti. Non è verità nuova che nuove conoscenze dell’animo umano diventino strumento di pochi che le usano per indottrinare, disciplinare e punire i molti. Qualcuno sfrutta da sempre la scia di chi crea strade nuove. Dalla notte dei tempi, nel grande gioco dell’umanità, ci sono sempre stati i ricercatori, che quasi sempre si definivano ricercatori delle cose inutili, e i pragmatici che ne hanno invece sempre colto il valore e ne hanno sfruttano tutti gli effetti.
Oggi questo modello storico è destinato a non funzionare più perché tutti siamo chiamati a trarre il meglio delle nostre diversità e genuinamente riconoscerci come fratelli responsabili l’uno dell’altro.
Così la prossima volta che qualcuno ci imporrà un ruolo e ci dirà “attenzione alunno, il tuo insegnante sta per iniziare il test” gli risponderemo:
Vogliono l’attenzione per se. Necessitano di soddisfare l’ego. Vogliono sentire che chi hanno incontrato nella loro vita li guarda. E per questo creano immediatamente un gruppo, hanno questa esigenza basilare, così da esserne il centro. Sono atterriti dalla solitudine e per questo sono irritati da chi la possiede. Chi la possiede invece, non crea proprietà privata, una spiaggia se la gode sdraiato al sole, né mette ingressi, né organizza… giochi aperitivo.
Riposto “La rete dei piglianculo” (la versione originale scritta nel 2010 è più giù) aggiornata sostituendo il termine leader col termine capo.
“Per saper cos’è l’amore devi aver cantato e pianto Nelle lacrime e nel canto c’è la storia di ogni cuore…”. Ascoltando Carlo Buti… ho una idea, una percezione: c’erano tempi in cui l’individualità produceva cultura… quei tempi mi insegnano che il genio non è di uno solo ma può essere coltivato da tutti. Esistono istanti in cui Dio si manifesta e ci rende grandi e forti , inamovibili dalle leve del potere. Ci sono istanti in cui capisci che un conto è lo spirito, un altro è la razionalità. Un conto è l’individualità un altro è il riconoscimento sociale. un conto è la forza un altro è il potere. Un conto è il talento, un altro è la carriera. Un conto è il genio, un altro è la fama. Un conto è l’Uomo, un altro è il piglianculo.
La rete dei piglianculo
Quando lo prendi in culo, io so solo che è una brutta sensazione. Che non voglio provare. Ma colui che me lo mette nel culo oggi dice di averla presa nel culo a sua volta quando aveva la mia età. E chi la mette nel culo a me oggi, è chi l’ha presa nel culo alla mia età da chi probabilmente alla mia età l’ha presa nel culo. … Perché, si dice, che se la prendi nel culo alla mia età la potrai mettere nel culo quando avrai l’età di chi te la mette nel culo ora. Si forma la rete e così le cose vanno avanti. C’è una massima popolare che mi ha insegnato mio Zio: “se sei martello batti, se sei incudine statti”. Funziona perciò così. Solo che succede tutto in modo più dinamico e protratto nel tempo, nella storia. E’ uno spirito della società che scivola di generazione in generazione. C’è un periodo in cui sei incudine, se ti fai battere con pazienza poi nel tempo potrai avere la possibilità di diventare martello e allora sarai tu a battere. Ma di diventare martello nel tempo, per carriera, per anzianità, nessuno te lo assicura. Potrebbe restarti il dolore di essere stato battuto senza però mai raggiungere il tempo in cui sarai tu a battere. Qui un’altra massima popolare mi aiuta ad esprimere il concetto: “Col culo rotto e senza cerasa”. Ma allora, qui la mia conclusione: perch’è dovrei battere gli altri? E soprattutto, perché dovrei rischiare la beffa per me inaccettabile, dell’avere il culo rotto e senza cerasa? Dico subito che se anche tu, caro lettore, ti stai facendo questa domanda sarai tra quelli che non sarà mai un leader di questa rete.
Questo sistema dell’incudine e del martello è il paradigma sociale su cui si costruisce tutta la rete dei piglianculo. E chi è nella rete, capo della rete dei piglianculo, fa scouting naturale; per colpo di fulmine inconscio, quasi magico. Quando incontra il suo simile se ne accorge, lo bastona, quasi con affetto , esercita il suo potere contro logica e giustizia e ne prova la fedeltà assoluta. Fedeltà alla posizione di superiorità, mai alla logica o alla dignità. Non è scritto, non è detto, ma è quasi immediato capire chi è adatto ad entrare nella rete, per chi c’è dentro. Chi ha la stoffa del piglianculo, lo capiscono inequivocabilmente. Procedono a metterla in culo in serie, con una doppia funzione, addomesticare ed eleggere. Addomesticare chi non è per natura portato a comprendere la logica che chi è superiore fa e indirizza a suo piacimento, ed eleggere, come dicevo, chi invece per natura è portato a prenderla in culo senza fare tante tragedie. Si fa scouting dei prossimi capi di questa speciale rete. E dipende tutto dalla prima sfiorata. Primo sfoggio di potere, prima reazione. C’è chi accetta ed è in prima linea, il piglianculo capo , chi accetta e va in fila, il piglianculo di massa, e chi sbrocca, da di matto e si scaglia contro il potente: l’Uomo. Ecco quest’ultimo è uno come me, che si troverà sempre a scrivere pressappoco pensieri di questo tipo, Il primo invece farà carriera e rispetterà sempre e soltanto il potere. Riderà probabilmente di scritti di questo tipo. Ed anche tu, che credi di capirmi, probabilmente o prima o poi ti renderai conto di essere un piglianculo. Una parte della rete. Solo se sei giovane capirai veramente questi scritti, se sei adolescente.. ..finché sarai tale, perché poi crescerai e sarai con molta probabilità un piglianculo di massa. Pochi saranno capi, e pochissimi, Uomini. I piglianculo di massa, saranno da sempre combattuti tra il dolore e lo spirito. Tra il calcio in culo e l’ispirazione. Potrebbe darsi che ci sia un tempo dei piglianculo e uno degli Uomini. Non vorrei scomodare Cristo e Pilato, (se non ti risuona nulla, caro lettore, ti dico Socrate e Meleto), ma è da sempre così: l’Uomo esalta, ispira, il piglianculo, affossa, equilibra. Uno sobilla, l’altro calma. Gli Uomini cercano sempre di creare reti di Uomini, e i piglianculo le reti di piaglianculo. Chi vince da sempre lo decide il caro e puro piglianculo di massa. La democrazia o la folla.
Questo, è solo uno scritto, un anfratto della realtà, in cui l’Uomo che è in me si ferma a prendere le sue sembianze su un foglio bianco. Ma ora, torno fuori… E nell’eterna lotta per non essere inghiottito nella rete dei piglianculo, là fuori cioè, ogni scatto di reni contro il sicuro, lo scontato, sarà la volta in più in cui potrò riconoscermi Uomo.