“Mangiamo come si deve”, “Parliamo come si deve” “Parliamo di arte e letteratura come si parla di arte e letteratura”. La dittatura del “si”, cioè dell’uniformità di tutti noi, forse non è successa per caso, perché un popolo uniforme, poi lo uniformi”. Cit.
Parole critiche, dirette contro il cuore della società stessa. Scagliate da un’anima nobile che contribuisce a distruggere il sistema, gli apparati, il conformismo….
… è davvero così?
Mi viene in mente una riflessione controintuitiva.
IL SISTEMA, L’ANTISISTEMA, IL PERSONAGGIO E L’INDIVIDUO
Io non credo che azioni fatte all’interno del sistema, contro il sistema, siano tanto contrarie e nocive al sistema stesso, anzi.
Le disarmanti e indiscutibili verità narrate da certi filosofi sono parole rivoluzionarie nei confronti del sistema, ma limitate in una sua nicchia dal suo apparato comunicativo (che invece rende virali altri personaggi improbabili) e pertanto, rimangono una catartica parentesi disconnessa dalla vita quotidiana.
Il filosofo che le produce diventa un personaggio, egli stesso diventa alla fine un prodotto che alimenta la prosperità del sistema.
Lo scagliarsi contro il sistema, l’essere anti, costituiranno il perché della sua popolarità. Egli diventerà un personaggio stimato e autorevole nella stessa società verso la quale si scagliava con i suoi fendenti. E lo diventerà proprio per essersi proposto anti sistema. Dunque il criticato, il conforme, il sistema, alimenta la critica, l’anticonforme, l’antisistema, e viceversa. La società continua a non ricevere gli spunti di critica bensì li sfrutta per alimentare il suo cuore pulsante: il profitto.
Certe verità caustiche e critiche della società moderna trovano spazio e tempo nel discorso della società moderna, come hanno posto e tempo un fine settimana al mare dopo 5 giorni lavorativi o il carnevale di Rio a Rio.
Presentazioni, conferenze, seminari contro il sistema, diventano prodotti del sistema stesso, organizzati né più né meno come si organizzano tutte le altre attività.
Per di più c’è da fare un ulteriore passaggio che ci porta ad affermare che non solo l’anti-sistema alimenta il sistema, contro cui si scaglia, ma ne è a servizio.
Le persone che sono socialmente accettate oggi, e che costituiscono quindi il tessuto sociale sono espressione di dinamiche innestate nella società così com’è strutturata oggi. In altre parole, lo status sociale lo si acquisisce sin dall’età scolastica, e lo si acquisisce da chi ci precede, dal modo di pensare di chi ci precede.
Ne consegue che anche gli “ambasciatori” delle correnti alternative e critiche del sistema, paradossalmente sono comunque frutto del sistema stesso.
Pur ammettendo che vi possa essere in un dato momento una forza veramente antisistema, alla lunga, un levigatore invisibile, modella i leader di domani identici a quelli di ieri e non c’è scampo: anche correnti in origine veramente nuove, verranno popolate da ricciolini bellocci, dal sorrisone disarmante; che erano già capi di movimento ancor prima di essere capi di movimento.
Così simili all’archetipo sociale di uomo di successo, della società in cui vivono, certe persone, sono scelte non da persone e professionisti, ma dall’ “inconscio collettivo”. Troveranno spazio perché per loro c’è spazio. Un pò come in quel gioco che facevamo da bambini di trovare la giusta collocazione di un parallelepipedo nella fessura corrispondente in una matrice di legno preparata con le diverse forme geometriche.
Allo stesso modo la cultura in cui viviamo è preparata da libri, film, comunicazione, media prodotti, distribuiti, finanziati, da chi il dettame tecnologico del profitto lo conosce bene. Non è certo un afflato artistico, critico e antisistema che produce quel libro antisistema, ma una rete di leader e capi capaci di sfruttare e fare funzionare i processi distributivi, produttivi, finanziari, che altro non sono che il sistema stesso.
Se mi hai seguito fino a questo punto, facciamo un altro passaggio.
La tua collocazione nel sistema, il tuo stile e come ti percepiscono gli altri, nella società delle relazioni è stato definito ancor prima che tu potessi esprimere totalmente le tue risorse. Questo è stato scelto da chi ti ha cresciuto, genitori, maestri, allenatori etc. Dall’opinione che loro si erano fatti di te.
Lo status raggiunto in classe elementare, ad esempio, è molto più importante di quanto sia il suo effetto sulla fase della vita in cui si colloca. Pur se limitata al periodo in cui siamo studenti, quella esperienza diventa una posizione precisa della tua espressione relazionale, nel tessuto sociale di cui la classe è solo un simbolo.
Lo stile con cui abbiamo partecipato ai giochi, l’interazione che abbiamo avuto con l’insegnante e gli altri bambini durante le lezioni, il modo in cui abbiamo creato relazioni ed il ruolo che abbiamo ricoperto in quella relazione, prendono forma in dinamiche psicologiche individuali e relazionali dell’adulto che saremo.
Pensare a queste cose crea ansia lo so, ma io vi incito comunque a riflettere che In quella fase della nostra vita si formano posture sociali che ci accompagneranno per tutta la nostra vita di relazione come quella della schiena, delle nostre gambe o delle nostre spalle.
La qualità di queste relazioni è molto importante, e influenza le nostre abilità relazionali sia che esse siano primarie (all’interno della nostra famiglia), secondarie (negli ambienti extra familiari), con persone gerarchicamente superiori a noi, o con i pari.
Ecco che l’apparato, fatto da ingegneri, avvocati, educatori, economisti, influenza in un effetto a cascata (dal livello macro a quello micro) ogni ecosistema sociale costruito. Persino la relazione tra i pari, a partire dalle scuole elementari è influenzato dal contesto, e presto l’individuo si identifica con uno status sociale che si porterà molto probabilmente per tutta la vita: bambino accettato, rifiutato, trascurato o controverso (in questo modo li categorizza una certa Psicologia dello Sviluppo).
Di fronte una tale predestinazione subentra un certo sconforto ed è inevitabile.
Eppure, la soluzione c’è, ed è semplice: smettere di pensare che tu sia la tua maschera sociale. La tua storia. Le tue convinzioni interiorizzate. Smettere di credere che un nome, un leader, un nuovo personaggio prodotto dal sistema sistemerà le cose. Lasciare che gli uomini di sistema giochino con le formine e cambiare gioco. Il tuo.
C’è qualcosa di più grande delle relazioni sociali e del sistema, degli apparati che lo costituiscono. Sono le dimensioni intime, invisibili, che non si manifestano negli apparati.
Dovremmo coltivare (e proteggere), quelle lì. Con lo studio, la lettura, la scrittura, il canto, la meditazione, alimentare la relazione con noi stessi, e con l’amore e l’empatia alimentare quella con gli amici, genitori, fratelli, con la nostra o il nostro compagno.
Quanto più saremo ancorati ai dubbi delle nostre dimensioni intime meno saremo persuadibili dalle certezze del sistema sociale.
…. ah, e per voi personaggi, leader, fari delle masse, c’è soluzione? Sì.
Ammesso che queste cose non le abbiate già davvero capite e che non alimentiate questa contraddizione di fondo della società moderna per vostro profitto personale, anche voi avete una via di uscita: smettete di essere personaggi. Smettete di identificarvi con la vostra forma sociale di leader, capi etc.
Rifiutate di farvi affibbiare il compito di fari delle masse. Fate la vostra impresa, scrivete il vostro libro, ispirate le masse e tornate al vostro orticello. Riconoscete che eravate ispirati, non diventate mestieranti. E continuate a dire alla gente che si ostina a guardare il vostro dito, di rivolgere lo sguardo alla luna.
(p.s. se accettate la casellina che predecessori simili a ciò su cui vi siete sintonizzati hanno preparato per voi, se accettate di inserivi nella fessura del nuovo personaggio, e invece non vi rivendicate individui, siete collusi col sistema stesso che criticate. Amen).