MOBİLİTA’ (LO SLANCİO)

Facoltà di Economia, Milano.

Il vociare comune di parole uguali, come quelle facce livellate dalla stessa espressione di sobrietà, rallentavano le tue azioni.

Ti sei alzato e hai chiesto:

“Professore, mi scusi. Lei crede che per uno studente, oggi, finita l’università in un paese come l’Italia sarebbe meglio espatriare? Oppure rimanere e cercare di cambiare qualcosa da dentro il sistema?”

Qualche minuto per la traduzione e lo hai sentito dire:

“La mobilità in Italia è una delle più basse al mondo. Vi consiglio di andare via. Magari poi tornare per cercare di cambiare le cose. Ma se volete provare a fare carriera andate via”.

Mobilità.

Che voleva dire?
Per te?

Quel tuo compagno di classe delle elementari a cui la maestra fece fare il castello di cartapesta che poi era stato esposto alla festa di classe con i genitori. Avresti capito se ti avesse ricordato quanto fu deluso quella volta il tuo entusiasmo e quanto confuso il tuo senso del vero quando alla tua insistenza di voler farlo anche tu, ti risposero: “lui è più bravo”. La tua incomprensione allora, quel senso di disagio e lontana sottomissione ogni qual volta che lo rivedevi, quel tuo compagno di classe. O quando, a quell’alone di magico e di destino si affiancavano nuove informazioni come figlio del primario ‘tizio’ o nipote del sindaco ‘caio’.

Non pensavi a tutto questo ma tutto era chiaro ad un certo livello.

Un improvviso filo di pertinenza e chiarezza si tendeva e riportava a galla sentimenti di aspirazione, entusiasmi, bocciature e mortificazioni. Come dei sogni brevissimi e sfilacciati ti giungevano alla ragione pensieri sull’inferno e il peccato originale, sulla dignità e sull’umiliazione.

Se qualcuno in quel momento, accortosi del tuo ghigno trascendentale ti avesse chiesto “ma a cosa pensi? Hai capito cosa ti ha risposto?” ti avrebbe sicuramente sentito dire:

“Sì. E’ chiaro. I sorrisi. Sono i sorrisi della gente”.

E ovviamente non avrebbe capito. Perché per capire bisognava chiederti di quel tuo compagno delle elementari, ricordare il suo sorriso e la tua delusione.

Avrebbero dovuto capire che la civiltà non è fatta di leggi e norme, ma di sorrisi, di legami e di rapporti. E se a sorridere sono sempre quelli, ecco, che avrebbero capito assieme a te cosa significasse “mobilità”.

Ti tolgono le speranze.  A poco a poco ti abitui ad accettare i volti dei prescelti di successo.

A poco a poco inizi a credere ai prescelti di successo. Ti sforzi di vedere del fascino in persone vuote e senza carisma. Ti ritrovi a chiedere cosa tu abbia di speciale. Perché ci deve essere qualcosa di speciale che ti porti via dal piatto di questa bilancia bloccata. E lo sai.

Ora, la tua ansia aveva una motivazione, un nome. E tutto era chiaro ma non per questo facile.

Che fare?

Per l’ennesima volta, pensare?

Per l’ennesima volta?

Questa volta no. Questa volta occorre agire.

Non ce la fai più a ridimensionare quell’onda che a volte monta e pare sia arrivata a salvarti.

Come?

Se gli strumenti non te li hanno dati.

Se le persone che hai incontrato hanno fatto in tutti i modi di incasellarti assieme a loro, e sotto di loro?

Se hanno fatto di tutto per portarti via la libertà di lottare per i tuoi bisogni e soprattutto, per la verità?

Già, perché la bestemmia allo spirito è quella che raggiunge il tuo senso del vero e per l’egoismo del potente, lo minaccia, lo infragilisce e infine, lo spezza in più parti. Immobilizzando il tuo giudizio e annientando la tua libertà.

I pensieri affollano la mente mentre i tuoi piedi scivolano sulla scalinata del sottopassaggio. Uno dopo l’altro si superano. Mentre con lo sguardo fai scorrere velocemente i numeri dei binari.

Davanti agli occhi, d’un tratto tua madre. Tua sorella. Tuo fratello malato.

Ti senti oppresso. Senza futuro. Predestinato e bloccato.

Poi, ricordi le parole di quel tuo amico che anni fa è partito per l’America e non l’hai più sentito.

“Arriverà un momento in cui dovrai capire” ti aveva detto.

“L’andare via non è un problema di organizzazione, ma di preparazione, e poi, di ‘salto’: devi essere disposto a lasciare tutto per l’intuito”.

E quando gli avevi parlato di tua madre sola, che aveva bisogno di te,  ti aveva risposto:

“E’ straziante tagliare certi legami fatti di pelle e carne. Ma il primo dovere ce l’hai verso la verità.

Devi comprendere i tuoi progetti e metterti nelle condizioni di realizzarli”.

Ti sembra di vedere il suo sorriso sereno. Ricordi la sua mano sulla tua spalla. Ti sembra quasi di sentirne il calore.

L’altoparlante annuncia:

“sul 8° binario, è in partenza il treno per Barcelona Estacio Saint”.

Brucia quell’onda.

E’ tornata. Finalmente.

Non stai pensando a nulla.

E’ l’istinto animale di sopravvivenza che ti muove.

Che vada oltre il solito contratto con il senso di normalità e di conformità.

Che sappia veramente cosa vale e per cosa spendere tutte le energie,

che ti faccia uscire dalle file, sopportare la vergogna, i giudizi e portare avanti uno slancio.

Scorrono le pareti del sottopassaggio. Hai superato il cartellone col numero del tuo binario.

Sul tuo viso non si legge più il solito sorriso ben calibrato e dosato, nei tuoi occhi una luce antica.

Vai!

Non pensare a nulla.

Vai.

(O meglio, lasciati andare).

Entri nel vagone appena approdato al binario e ti senti come un marinaio che sale su una nave da esplorazione, verso un nuovo mondo.

L’eccitazione enorme che ti trovi nella pelle e nelle orecchie e negli occhi, ti lascia un varco istantaneo che raggiunge la ragione e ti dice

che sei partito.

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