Riposto questo pezzo del 18 Dicembre 2020, inserendo un video importante di Project Veritas. A volte infatti non sono solo i messaggi ad essere importanti, ma sopratutto l’angolo da cui li si osservano e le chiavi di lettura che si utilizzano per analizzarli. Provate a guardare questo video e poi rileggete questo pezzo se l’avevate già letto l’anno scorso. Avrà un significato sicuramente rinnovato.
Ad Maiora.
Mi ha sempre colpito dell’antico testamento, la storia dei 7 fratelli che
assieme alla madre, uno alla volta, si lasciavano torturare, e sino uccidere,
per non riconoscere il re come proprio dio. Uno alla volta il re li faceva
prendere e torturare di fronte gli occhi dei restanti, per punirne uno e
addestrare gli altri. E invece uno dopo l’altro alla richiesta di accettare le
leggi del re e il re come loro dio essi rifiutavano.
Il re ne era moralmente, narcisisticamente, patologicamente, (si direbbe ai
giorni nostri), offeso. L’esercizio del potere su un inerme è un giochino
sempreverde, che a quanto pare non ci siamo mai lasciati alle spalle. La storia
descritta nel libro dei “Maccabei”, mi ha sempre colpito per la
crudeltà descritta del re e delle torture che un uomo è disposto a fare per
costringere un altro uomo ad accettarlo come superiore a se stesso (perché in
fin dei conti è quello di cui si tratta ai miei occhi).
In verità, ho sempre letto quella storia biblica più ampiamente, come un
esempio di integrità e del valore di alcune cose che nella vita valgono la vita
stessa.
Che senso avrebbe infatti continuare a vivere se ci costringessero a farlo,
rinunciando a qualcosa, per cui fino a quel momento abbiamo consacrato la
nostra vita?
Che senso avrebbe continuare a vivere, se pezzettino a pezzettino ci
costringessero ad abdicare ad un pò di umanità?
La storia dei sette fratelli lo comunica in modo molto chiaro: esiste
l’integrità, ed esiste uno spazio in cui un Uomo non scende a compromessi di
fronte le pressioni della società per preservarla.
Del resto, le forze centrifughe dell’apparato che ci ospita, le sue
richieste, gli obblighi esterni che nella storia chiamano gli uomini a
piegarsi, a barattare la propria integrità, il loro senso di dignità per
l’appartenenza, arrivano sempre in forme svariate e nuove. Epoca per epoca.
Rinuncia per rinuncia. Abiura dopo abiura.
Detto questo, capito questo, siamo a metà della faccenda.
L’altra metà, e non è affatto facile da comprendere, è riconoscere ogni
qualvolta, si ha a che fare con quella richiesta lì. Si ha di fronte quelle
richieste che indirizzano dritto per dritto, verso la nostra integrità, la
nostra dignità.
Che forma hanno oggi?
Vi do un aiutino cari lettori.
Hanno la forma di quelle richieste, che arriverete ad accettare per rimanere
a fare parte della società così come la pensate oggi: andare al ristorante,
viaggiare, andare in palestra, sinanco frequentare qualsiasi luogo pubblico.
Avrà la forma di una scelta tra l’esclusione e riprendere a vivere una vita
normale.
Che abbiate capito o meno, cari amici, la richiesta esplicita di prostrarsi
al re prima o poi arriva.
Arriva per tutti, l’importante è capire che è quella richiesta lì.
Non è un’esagerazione. Riprendete a vedere le cose come stanno. La richiesta
non è mai cambiata. La risposta neppure: c’è qualcuno che crede che la vita coincida
con le regole del re, altri che credono nella forza creativa dell’Uomo.
C’è qualcuno che non vede nulla di male ad accettare un compromesso, altri
che ne fanno un problema di dignità umana.
Attenzione cari perché il problema non è né di responsabilità, né di salute,
il problema è di libertà di culto
e di rifiuto ad avere un padrone.
In chi hai fede tu?
Chi rifiuti?
Come è sempre successo, e sempre succederà, rifiutare il re non è mai stato
facile, ma quando vi rendeterete conto che la questione è quella lì, abbiate
coraggio e resistete.
Non vi fate confondere dalla forma con cui vi faranno la domanda, perché la
domanda è sempre la stessa: credete in Dio o nel re?
Alla libertà o alla schiavitù?
Ad maiora,
Kaan Reed
Disclaimer: il contenuto seguente è molto crudo e potrebbe urtare
la sensibilità di qualche lettore, proseguite
a leggere solo se ve lo sentite.
2 Maccabei 7 CEI – Il martirio dei sette fratelli
Ci fu anche il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro
madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di
carni suine proibite. Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse:
“Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che
trasgredire le leggi dei padri”. Allora il re irritato comandò di mettere
al fuoco teglie e caldaie. Appena queste divennero roventi, il re comandò
di tagliare la lingua a quello che si era fatto loro portavoce, di scorticarlo
e tagliargli le estremità, sotto gli occhi degli altri fratelli e della
madre. Dopo averlo mutilato di tutte le membra, comandò di accostarlo al
fuoco e di arrostirlo quando ancora respirava. Mentre il vapore si spandeva
largamente tutto intorno alla teglia, gli altri si esortavano a vicenda con la
loro madre a morire da forti, dicendo: “Il Signore Dio ci vede dall’alto e
certamente avrà pietà di noi, come dichiarò Mosè nel canto che protesta
apertamente con queste parole: “E dei suoi servi avrà compassione””.
Venuto meno il primo, allo stesso modo esponevano allo scherno il secondo
e, strappatagli la pelle del capo con i capelli, gli domandavano: “Sei
disposto a mangiare, prima che il tuo corpo venga straziato in ogni suo
membro?”. Egli, rispondendo nella lingua dei padri,
protestava: “No”. Perciò anch’egli subì gli stessi tormenti del
primo. Giunto all’ultimo respiro, disse: “Tu, o scellerato, ci
elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per
le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna”.
Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta
mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo
dignitosamente: “Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le
disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo”. Lo
stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane,
che non teneva in nessun conto le torture.
Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi
tormenti. 14 Ridotto in fin di vita, egli diceva: “È
preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di
essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione
per la vita”.
Subito dopo condussero il quinto e lo torturarono. Ma egli, guardando
il re, diceva: “Tu hai potere sugli uomini e, sebbene mortale, fai quanto
ti piace; ma non credere che il nostro popolo sia stato abbandonato da
Dio. Quanto a te, aspetta e vedrai la grandezza della sua forza, come
strazierà te e la tua discendenza”.
Dopo di lui presero il sesto che, mentre stava per morire, disse: “Non
illuderti stoltamente. Noi soffriamo queste cose per causa nostra, perché
abbiamo peccato contro il nostro Dio; perciò ci succedono cose che muovono a
meraviglia. Ma tu non credere di andare impunito, dopo
aver osato combattere contro Dio”.
Soprattutto la madre era ammirevole e degna di gloriosa
memoria, perché, vedendo morire sette figli in un solo giorno, sopportava tutto
serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava
ciascuno di loro nella lingua dei padri, piena di nobili sentimenti e,
temprando la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: 22 “Non
so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato il respiro e la vita, né
io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore
dell’universo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla
generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro
e la vita, poiché voi ora per le sue leggi non vi preoccupate di voi
stessi”.
Antioco, credendosi disprezzato e sospettando che quel linguaggio fosse di
scherno, esortava il più giovane che era ancora vivo; e non solo a parole, ma
con giuramenti prometteva che l’avrebbe fatto ricco e molto felice, se avesse
abbandonato le tradizioni dei padri, e che l’avrebbe fatto suo amico e gli
avrebbe affidato alti incarichi. Ma poiché il giovane non
badava per nulla a queste parole, il re, chiamata la madre, la esortava a farsi
consigliera di salvezza per il ragazzo. Esortata a lungo,
ella accettò di persuadere il figlio; chinatasi su di
lui, beffandosi del crudele tiranno, disse nella lingua dei padri:
“Figlio, abbi pietà di me, che ti ho portato in seno nove mesi, che ti ho
allattato per tre anni, ti ho allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho
dato il nutrimento. Ti scongiuro, figlio, contempla il
cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non
da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano. Non temere
questo carnefice, ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte,
perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della
misericordia”.
Mentre lei ancora parlava, il giovane disse: “Che aspettate? Non
obbedisco al comando del re, ma ascolto il comando della legge che è stata data
ai nostri padri per mezzo di Mosè. Tu però, che ti sei fatto autore di
ogni male contro gli Ebrei, non sfuggirai alle mani di Dio. Noi, in
realtà, soffriamo per i nostri peccati. Se ora per nostro
castigo e correzione il Signore vivente per breve tempo si è adirato con noi,
di nuovo si riconcilierà con i suoi servi. Ma tu, o
sacrilego e il più scellerato di tutti gli uomini, non esaltarti invano,
alimentando segrete speranze, mentre alzi la mano contro i figli del
Cielo, perché non sei ancora al sicuro dal giudizio del
Dio onnipotente che vede tutto. Già ora i nostri
fratelli, che hanno sopportato un breve tormento, per una vita eterna sono
entrati in alleanza con Dio. Tu invece subirai nel giudizio di Dio il giusto
castigo della tua superbia. Anch’io, come già i miei fratelli, offro il
corpo e la vita per le leggi dei padri, supplicando Dio che presto si mostri
placato al suo popolo e che tu, fra dure prove e flagelli, debba confessare che
egli solo è Dio; con me invece e con i miei fratelli possa arrestarsi
l’ira dell’Onnipotente, giustamente attirata su tutta la nostra stirpe”.
Il re, divenuto furibondo, si sfogò su di lui più crudelmente che sugli
altri, sentendosi invelenito dallo scherno. Così anche
costui passò all’altra vita puro, confidando pienamente nel
Signore. Ultima dopo i figli, anche la madre incontrò la morte.
Ma sia sufficiente quanto abbiamo esposto circa i pasti
sacrificali e le eccessive crudeltà”.