IL METAVERSO, L’INDUSTRIA, E LA MULTIDISCIPLINARIETA’ (ovvero, LE LUCIDE RAGIONI DEL “COMPLOTTO”)

Faccio seguito ad alcuni commenti che ho fatto su Youtube a questo video, avendomi portato l’ispirazione per un pezzo. Buona lettura.

Vorrei affrontare sul Literary Port la questione del Metaverso, termine molto “sexy”, che oggi utilizzano tanti comunicatori e divulgatori di professione. Il literary port è un porto libero in cui portare gli oggetti conosciuti e osservarli con occhi nuovi per oltrepassare la loro rigidità funzionale e intravederne un nuovo senso, se non addirittura, un nuovo utilizzo.

Vorrei usare perciò questo concetto per parlare dell’innovazione in genere, delle sue motivazioni e dei suoi obiettivi. Vorrei in altre parole, partire da un termine conosciuto e arrivare a fare delle considerazioni invece non scontate, che potranno sembrare un po’ di natura pindarica, ma se eserciterete il vostro pensiero laterale [1] assieme a me, probabilmente potrete volare su conclusioni controintuitive, ma coerenti.

In questo pezzo non voglio soffermarmi sulla descrizione di cosa sia il Metaverso, concetto che utilizzo solo come metafora di innovazione e progresso tecnologico in genere e come stratagemma letterario per dare il là alle mie speculazioni teoriche.

In questo video [2], d’altronde, trovate una descrizione abbastanza solida ed esaustiva della sua spiegazione, per cui vi invito eventualmente a guardarlo prima di proseguire nella lettura, qualora foste interessati ad approfondire l’argomento.

Vorrei partire da questo concetto invece estratto dal video [2] per cui “la maggior parte delle persone vivrà in un metaverso la maggior parte del suo tempo” e da questo, avviare le diramazioni della mia traiettoria intellettuale, di cui non considero di valore la distanza, bensì l’arrivo.

Questo – “la maggior parte delle persone vivrà in un metaverso la maggior parte del suo tempo” – è un’assioma, che l’opinione pubblica presenta come un de facto irrinunciabile e su cui la pressione degli interessi industriali è tale che tutte le attività umane in ogni ambito (sociale, economico, sportivo, artistico, etc.), sono spinte in una direzione ormai accettata, per cui convergono magicamente, senza però sapere se questa trasformazione (o evoluzione) sia salutare per l’individuo e, inoltre, come renderla salutare se non lo fosse.

A mio modo di vedere, nel caso del metaverso, assistiamo ancora una volta ad un altro caso in cui prima l’industria spinge e poi l’etica si adatterà per uscire dalla dissonanza cognitiva [3] in cui cadranno in molti (se non puoi cambiare la tua “posizione fisica”, cambi la tua “posizione ideologica” perciò se non ti piaceva una cosa te la farai piacere).

Eppure, occorerebbe che la società si interrogasse – in tempo utile e multidisciplinariamente [4] – in modo maturo e ampio, su che impatto abbia la digital transformation [5] in genere sull’individuo, su i rapporti sociali e più ampiamente, in relazione al senso della vita, sul senso del se, in un orizzonte temporale lungo.

Il Metaverso è infatti uno degli attributi della piu’ ampia trasformazione digitale della società alla quale stiamo assistendo in questa epoca storica. Si è trascinati da questa trasformazione o evoluzione in modo cieco, senza essersi mai veramente chiesti quale sia la motivazione e il fine.

Spesso, nei confronti del progresso tecnologico di cui la “digital transformation” è la moderna declinazione, si ha un atteggiamento polarizzato: o fideistico, o ansioso e angosciato.

Preme invece adottare una posizione lucida e razionale per capire qual’è l’arrivo e partecipare attivamente alla sua progettazione.

Tuttavia, mi chiedo se qualcuno lo sappia già, o non l’avesse già scelto (e a leggere certi contributi teorici degli anni ’70/80 il dubbio si fa certezza [6]), ad esempio, concetti teorici come transumanesimo e cyborgizzazione (altri termini pure molto sexy pronunciati molto bene dalla bocca di tutti, ma chiariti meno bene nelle rispettive teste – “mistero del content making“) sono stati investigati da un filone specifico di teorici e ben conosciuti da una certa categoria di decision makers, ma meno dalle masse su cui gli effetti si diramano.

Prendendo questo dubbio per ipotesi di partenza, mi chiedo se è etico che un elite di industriali abbia già scelto per noi la direzione e che a noi non rimanga che prendere per buono che “vivremo metà della nostra vita nel metaverso…”.

Quale invece deve essere l’arrivo in un’ottica antropocentrica (non transumanista) e partecipata da membri attivi di quella comunità che verrà trasformata?

E’ giusto concepire che ci saranno gruppi di persone che decideranno volontariamente e risolutamente di non “vivere gran parte della loro vita nel metaverso”? Anzi, che proprio in contrasto con il filone teorico del transumanesimo, si delineerà più chiaramente un filone ultraumanista? Ovvero, in altri termini, che il progresso tecnologico, lungi dall’essere lo strumento diretto dell’evoluzione dell’uomo, sia bensì l’attivatore collaterale della vera evoluzione di un’umanità che si ritroverà salda nel ribadire il suo diritto di nascita ad identificarsi con un essere umano biologico e biologicamente limitato?

Prima di procedere nella lettura, caro lettore, comprendi che qui non troverai molte risposte, ma intercetterai le domande, che l’opinione pubblica distratta non si è ancora fatta.

Comprendo che l’impostazione di una analisi su questo argomento possa differire a seconda della provenienza culturale e scolastica di chi la opera, e che percorsi culturali differenti possano portare ad osservazioni differenti, pertanto quello che mi importa è proporre una non scontata angolazione da cui analizzare il “campo osservabile”.

Chiaramente ben venga l’incontro “cross disciplinare” [4], che reputo fondamentale per il riconoscimento di una configurazione ottimale e benefica per l’umanità, di tale processo di trasformazione digitale “olistica”. Questi focus vogliono cogliere proprio le intersezioni crossdisciplinari tra sfera tecnica e sfera umanistica.

Saltando un approfondimento sulla riflessione su chi sia l’uomo e quale siano le sue peculiarità ontologiche, ripropongo il focus su quello che più mi sta a cuore, ovvero la forza propulsiva dell’industria rispetto al resto della società; che, partendo dall’ambito economico, sfocia persino a dettare la direzione morale, culturale e di costume in genere, dell’intera società.

La questione tecnica, a mio avviso, è che siamo in un momento storico in cui vecchi capitali (di capitan d’industria [7] del tabacco, petrolio, mettallurgico, per citarne alcuni) devono essere transitati verso nuovi settori, che abbiano la capienza di ricevere questi volumi finanziari, e il potenziale di svilupparli quanto hanno fatto i vecchi settori; con i volumi che hanno garantito a quei “vecchi” investitori” (si legga marchi e gruppi societari).

Si deve comprendere che la transazione di enormi capitali di interi gruppi societari che hanno operato in settori il cui ciclo di vita [8] è arrivato alla fase di declino, verso neonati mercati in fase di sviluppo (hitech [9] in genere) è un processo lungo e complesso, che prevede non solo coordinamento politico (lavoro di lobby per la realizzazione di un certo tipo di impianto legislativo favorevole piuttosto che allontanarne uno sfavorevole) e tecnico (creazione di joint ventures, fusioni etc.) tra quegli investitori, ma anche una preparazione culturale e dell’immaginario collettivo altrettanto lunghi e complessi, nei futuri cluster [10] di clienti.

Ecco spiegato in poche parole quanto un osservatore superficiale chiamerebbe complotto, ma che altro non è che un insieme di sforzi sinergici per la tutela di ingenti capitali su cui convergono svariati interessi. Chi è in possesso di ingente ricchezza pur di non vederla sfumare per scelte poco lungimiranti o conflitti tra concorrenti diretti [11], coopera, collabora e si coordina (uno sguardo ansioso e poco erudito percepisce e chiama questo fenomeno complotto) per salvaguardarla e garantirne la crescita.

Questi interessi comuni sono quelli che fanno andare avanti il tessuto economcio e finanziario della società, che l’hanno alimentato creando ricchezza e che hanno tutta l’intenzione di rimanere i protagonisti, sotto altra veste certamente, alimentando e partecipando allla prossima onda di crescita e innovazione, come direbbe Kondratieff [12].

Per cui, in sintesi, manteniamo il focus dell’analisi sul problema tecnico che oggi si sta verificando: prima si declina la scelta di un certo settore preponderante su la fisionomia della società ad esso più congeniale (e questo è un de facto, non è qualcosa che personalmente a me stia bene, ma è così per ora) e poi tutti gli sforzi degli altri settori seguono acriticamente e forzatamente, per contribuire a costruire quelle condizioni favorevoli a rendere la scelta fatta, di successo.

I grossi capitali hanno già scelto il o i settori prediletti su cui spingere, (ad esempio, l’hitech), e l’effetto a livello culturale e sociale è un cambio nel costume e dell’immaginario collettivo della maggioranza, sempre più ammiccante ed entusiastico delle promesse (a volte menzognere) del processo di trasformazione digitale della società.

Questo entusiasmo a volte è giustificato soltanto dall’assenza, dannosa, di un collante multidisciplinare tra i linguaggi per cui alcune conclusioni provenienti da alcune discipline invadono il campo degli effetti di altre discipline le quali non avendo le basi teoriche per partecipare ai processi causali di questo cambiamento, si ritrovano a dover semplicemente seguire acriticamente. E poi convicersi di quanto sia bello il progresso tecnologico a prescindere.

La questione morale è che manca ed è mancato un dibattito cross disciplinare avviato prima di aver irrigidito le direzione di cambiamento della società. In questo modo si è lasciato a pochi di definire le caratteristiche della fase di progettazione e di comprare il consenso con le promesse (queste non affatto menzognere) di grossi rientri per coloro che fossero saliti in tempi utili sula carovana dell’innovazione (i cosiddetti first movers [13]).

Si è lasciato ad un solo gruppo sociale e disciplinare (specialisti hitech o del bigpharma sostanzialmente), di decidere la direzione che doveva prendere il nostro futuro di progresso, non solo tecnologico, ma umano e sociale, concedendo ai rimanenti specialisti di altri ambiti, scelte obbligate con cui appacificare eventuali distonie ideologiche. Del resto piu’ passa il tempo piu’ l’abituazione [14] affievolisce ogni percezione di fastidio.

Del resto, è vero che secondo la legge di Pareto [15], una piccola percentuale degli input influenza una gran parte dell’output, tuttavia, quando si tratta di destino delle società e del concetto stesso di umanità (impiantare un chip in un bambino per garantirgli la sicurezza dai pedofili non è una questione di privacy o hackeraggio, ma di diritto a rimanere 100% biologici [16] in città smart [17] in cui i servizi saranno declinati sempre di piu’ per cittadini con device integrati e necessari alla loro erogazione).

Vale la pena disattendere la legge di Pareto e fare contribuire la maggior parte dei ruoli e professioni sociali al dibattito di quale società del futuro costruire per garantirci un output rispettoso della dignità umana e del senso della vita: non sempre l’industria ha dimostrato di avere tra le variabili della sua formula di ottimizzazione, il senso della vita (prendendo a prestito un linguaggio in uso dalla Ricerca Operativa [18]) .

In conclusione, a prescindere dalla forza relativa che una parte della società ha acquisito, di fatto, sulle altre, alcune scelte sono etiche e politiche, e se pure la legge di mercato escluderebbe le voci più deboli dal punto di vista economico, dal processo decisionale, una esigenza di bene comune deve portare a reinserirle e coinvolgerle perché specialisti come filosofi, psicologi, umanisti e sociologi, possono portare punti di vista, magari non strategici per il ROI [19], ma cruciali per la preservazione della dignità umana e il benessere sociale.

Una parte necessariamente svista tanti altri punti di vista ed esigenze che pur devono essere tenute in considerazione in un ottica etico politica.

Questo è il dilemma morale dell’incontro tra i driver dell’innovazione, il peso specifico dei settori della società che scelgono questi driver e dell’importanza di una base multidisciplinae nella delineazione di queste scelte.

Vi ho spiegato quindi:

IL METAVERSO, L’INDUSTRIA, E LA MULTIDISCIPLINARIETA’

ovvero,

LE LUCIDE RAGIONI DEL “COMPLOTTO”.

[1] “Con il termine pensiero laterale, coniato dallo psicologo maltese Edward De Bono, si intende una modalità di risoluzione di problemi logici (problem solving) che prevede un approccio particolare, ovvero l’osservazione del problema da diverse angolazioni, contrapposta alla tradizionale modalità che prevede concentrazione su una soluzione diretta al problema”. Edward de BonoSei cappelli per Pensare, 1999, Rizzoli

[2] Valerio Rosso, “Metaverso, che diavolo è?”, 2021, su Youtube.it,

[3] “La dissonanza cognitiva è una teoria della psicologia sociale introdotta da Leon Festinger nel 1957[1] per descrivere la situazione di complessa elaborazione cognitiva in cui credenze, nozioni, opinioni esplicitate contemporaneamente nel soggetto in relazione a un tema si trovano in contrasto funzionale tra loro; esempi ne sono la “dissonanza per incoerenza logica“, la dissonanza con le tendenze del comportamento passato, la dissonanza relativa all’ambiente con cui l’individuo si trova a interagire (dissonanza per costumi culturali)”.

[4] “Intradisciplinare: lavorare all’interno di una singola disciplina. Interdisciplinare: vedere una disciplina dal punto di vista di un’altra. Multidisciplinare: persone di discipline diverse lavorano insieme, ognuna attingendo alle proprie conoscenze disciplinari. Interdisciplinare: integrare conoscenze e metodi di diverse discipline, utilizzando una vera sintesi di approcci. Transdisciplinare: creare un’unità di quadri intellettuali al di là delle prospettive disciplinari”. Alexander Refsum Jensenius (traduzione), su https://www.arj.no/

[5] “La locuzione digital transformation (in italiano trasformazione digitale) indica un insieme di cambiamenti prevalentemente tecnologici, culturali, organizzativi, sociali, creativi e manageriali, associati con le applicazioni di tecnologia digitale, in tutti gli aspetti della società umana”.  Erik Stolterman e Anna Croon Fors, Information Technology and the Good Life, in Information Systems Research: Relevant Theory and Informed Practice, 2004, p. 689, ISBN 1-4020-8094-8.

[6] Lamola, Malesela John. 2021. “Covid-19, Philosophy and the Leap Towards the Posthuman”. Phronimon 21 (February):18 pages . https://doi.org/10.25159/2413-3086/8581.

[7] “Alla fine del XIX secolo, un capitano d’industria era un dirigente d’affari i cui mezzi per accumulare una fortuna personale contribuivano in qualche modo positivamente al paese. Ciò potrebbe essere dovuto a un aumento della produttività, all’espansione dei mercati, alla fornitura di più posti di lavoro o ad atti di filantropia”. (Traduzione) Scranton, Philip. “Fine Line Between Thief and Entrepreneur”. su www.teachinghistory.org.

[8] “Il ciclo di vita del prodotto (in inglese Product Life Cycle – PLC) possiede, in genere, quattro fasi principali che rappresentano la sua evoluzione nel tempo: introduzione; crescita; maturità; declino. In ciascuna di esse gli andamenti delle vendite e dei profitti riferiti a un certo orizzonte temporale (ad esempio la settimana o il mese) mostrano un certo andamento, tipico della fase stessa”. su logisticaefficiente.it

[9] “L’alta tecnologia o l’alta tecnologia è la tecnologia all’avanguardia: la tecnologia più avanzata disponibile”. Cortright, Joseph; Mayer, Heike,. High Tech Specialization: A Comparison of High Technology Centers (PDF), January 2001, Brookings Institution, Center on Urban & Metropolitan Policy.

[10] “In inglese, il termine cluster indica, generalmente, un gruppo che può essere composto da una serie di elementi, di solito, molto omogenei tra loro o, in generale, accomunati da un elemento”. su www.bucap.it

[11] Concorrenti diretti: soggetti che offrono la stessa tipologia di prodotto sul mercato; più è la differenziazione e quanto più sono simili i prezzi, allora tanto saranno più forti i concorrenti. Altri fattori da considerare sono: il livello di concentrazione all’interno del settore; le economie di volume; l’asimmetria informativa; le esternalità positive e negative; le barriere all’uscita”; Robert M. Grant, Analisi di settore (3º cap.), in L’analisi strategica per le decisioni aziendali, 4ª ed., Bologna, il Mulino, 2011, p. 583, ISBN 978-88-15-15080-6.

[12] “In economia, le onde di Kondratiev (chiamate anche onde di Kondrat’ev o, più semplicemente, onde K) sono cicli regolari sinusoidali nel moderno mondo economico capitalistico.[1] Lunghi da 50 a 70 anni, i cicli consistono alternativamente di una fase ascendente e di una discendente. Alla fase ascendente corrispondono periodi di crescita veloce e specializzata, mentre alla fase discendente periodi di depressione”. Kondratieff Waves in the World System Perspective. Kondratieff Waves. Dimensions and Perspectives at the Dawn of the 21st Century / Ed. by Leonid E. Grinin, Tessaleno C. Devezas, and Andrey V. Korotayev. Volgograd: Uchitel, 2012. P. 23–64.

[13] “Nei settori caratterizzati da rendimenti crescenti, la scelta del tempo d’ingresso (il timing) può essere decisiva. I FIRST MOVER (o pionieri) sono coloro che offrono per primi
una nuova categoria di prodotto o servizio”
Schilling, Izzo, Gestione dellinnovazione 3e, 2013, The McGraw-Hill Education s.r.l..

[14] “calo progressivo di intensità della risposta a uno stimolo ripetuto. Lo stimolo ambientale non ha più il carattere di novità e non è più percepito come significativo”. Dispense di Psicologia Generale dell’Apprendimento, Unisalento

[15] “Il principio di Pareto è un risultato di natura statistico-empirica che si riscontra in molti sistemi complessi dotati di una struttura di causa-effetto. Il principio afferma che circa il 20% delle cause provoca l’80% degli effetti. Questi valori vanno da intendersi come qualitativi e approssimativi. Esso prende il nome da Vilfredo Pareto (18481923), uno dei maggiori economisti e sociologi italiani e trova applicazione in una sorprendente moltitudine di ambiti e discipline”. ^ Diagramma di Pareto, su problemsetting.it

[16] “Rimanere Uomini, comprendere il significato profondo di umanità, fin’ora era scontato, d’ora in avanti, forse, occorrerà continuare a garantirlo con attivismo civico, all’interno di un partito, un movimento, il cui principio fondamentale sarà il diritto alla piena umanità.” Kaan Reed, Il diritto alla piena umanità, 2 giugno 2020, su theliteraryport.com

[17] “La smart city è una città che gestisce le risorse in modo intelligente, mira a diventare economicamente sostenibile ed energeticamente autosufficiente, ed è attenta alla qualità della vita e ai bisogni dei propri cittadini. È, insomma, uno spazio territoriale che sa stare al passo con le innovazioni e con la rivoluzione digitale, ma anche sostenibile e attrattiva”. (…) “Nelle smart city – almeno in quelle ideali teorizzate dalla letteratura sull’argomento – è presente un elevato livello di connettività, le strade sono percorse da auto a guida autonoma, gli incroci sono regolati da semafori intelligenti, gli oggetti si scambiano informazioni tra di loro grazie all’Internet of Things”. Luciano Marci, 14 settembre 2021, Digital360, su www.economyup.it

[18 La Ricerca Operativa “si occupa dello sviluppo e dell’applicazione
di metodi quantitativi per la soluzione di problemi di decisione che si presentano nella gestione di imprese e organizzazioni”.
Maurizio Boccia, Dispense di Ricerca Operativa, Laurea Magistrale in Ingegneria Informatica, Università del Sannio, a.a. 2016/2017.

[19] ROI, ovvero, return on investment (ROI) o ritorno sull’investimento o indice di redditività del capitale investito è un indice di bilancio che indica la redditività e l’efficienza economica della gestione caratteristica a prescindere dalle fonti utilizzate: esprime, cioè, quanto rende il capitale investito in quell’azienda Charles T. Horngren, Gary L. Sundem, William O. Stratton, Programmazione e controllo, Pearson Paravia Bruno Mondad, 2007, ISBN 88-7192-292-1, pg. 375